domenica 25 dicembre 2011

Una novella di Natale apparentemente triste

Questa l'ho scritta ascoltando questa perché questo mi ha detto che mentre la sentiva si immaginava me che scrivevo, allora ecco qua. Se avete voglia di ascoltarla mentre leggete, mi fa piacere.


La vigilia di Natale, un bambino di circa quattro o cinque anni mise qualche biscotto in un piattino e lo pose con cura di fianco ad una tazza di latte, che aveva già preparato sul tavolino di fianco all'albero.
Baciò sua madre e suo padre e andò a letto, tutto eccitato.
Quando finalmente il bambino ebbe preso sonno, il padre mise il suo regalo sotto l'albero, mangiò i biscotti e bevve il latte. Poi andò in terrazzo a fumare l'ultima sigaretta prima di andare a dormire e, rientrando, gli cadde dalla tasca del cappotto un fazzolettino di carta stropicciato.
Il padre si accorse del fazzolettino di carta mentre -toltosi il cappotto- spegneva le luci dell'albero, lo raccolse e lo appoggiò distrattamente sul tavolino.
La mattina dopo, la voce entusiasta del bambino svegliò i genitori. Il bambino indicava il regalo, il piattino e la tazza vuoti e il fazzoletto di carta: era inequivocabile che Babbo Natale era stato in quella casa, quella notte.
"Papà! Ha mangiato e bevuto! E in quel fazzoletto ci sono le sue caccole!"
"Mh..."
"Papà! Babbo Natale è stato qui a portarmi un regalo -perché sono buono- e ha mangiato i biscotti, bevuto il latte e si è soffiato il naso! Era molto freddo, stanotte!"
"Certo figlio mio, è andata sicuramente così."
Il bambino ripose con cura il fazzoletto.
Il padre, il giorno dopo, ebbe un incidente andando al lavoro, e morì.
Il bambino conservò il fazzoletto con le caccole di Babbo Natale e nessuno osò mai dirgli che una delle ultime cose che aveva fatto suo padre era stato mentirgli.
Portò il fazzoletto attraverso gli anni, continuando a credere contro ogni evidenza che questo custodisse le caccole di Babbo Natale.
Ci credeva così completamente e fortemente che, trent'anni dopo quella mattina di Natale, riuscì a venderlo a un miliardario russo per 47 milioni di euro.
Buon Natale.

venerdì 18 novembre 2011

Principi di Fisica Pseudoscatologica

Quando fa freddo, il respiro che esce fa quella nebbiolina, vaporizzando in quanto più caldo dell'aria esterna. Io ho sempre avuto paura, camminando per strada, ad emettere peti silenti -tipo gli apache1- perchè mi aspetto sempre che facciano la nebbiolina pure loro.

1= In "Come ti sbatto un'ora di matematica in terza media" (Rimini, 1985), Bartolini-Vannini classificavano i peti in "Apache" (silenti e spesso letali), "Caballero" (fragorosi, grassi e ridanciani, non di rado di pericolosità olfattiva medio-bassa) e "Cucaracha" (di livello acustivo comparabile ai "Caballero", sono molto pericolosi per gli astanti ma soprattutto per l'esecutore il quale -prima di cimentarvisi- deve sempre sincerarsi di avere dei servizi igienici molto ma molto vicini).
A tale classificazione, in "Come ti sbatto un'ora di statistica al primo anno di università" (Urbino, 1992), Vannini avrebbe poi aggiunto i "Prince Albert" (detti più comunemente "Berto" e sottoclassificati "Berto da per lui" [singola emissione, di variabile pericolosità olfattiva ma caratterizzati da una sonorità di tono baritonale a crescere] e "Berto in fila indiana" [serie di "Berto", tipica di movimenti eseguiti dall'emittente quali salire le scale o camminare a passo medio-veloce]) e, nelle seguenti edizioni, "Sibilla" (dalla sonorità medio-bassa ma improntata su un continuo o quasi impercettibilmente e brevemente interrotto tono alto, lascia spesso nell'esecutore un senso di incompiutezza. Può dunque succedere che l'emittente si segga su spigoli o comprima forzatamente le natiche assumendo a sua insaputa un atteggiamento marziale quantomeno fuori luogo).
L'epistemologia della materia annovera anche classificazioni basate sulla durata di suoni e/o emissioni, ma la comunità scientifica considera ormai superate tali prospettive.
L'applicazione della materia comprende inoltre due tipi di approcci che è utile e doveroso citare brevemente: l'approccio Inferenziale ("Se si sente qualcosa, sarà stata sicuramente 'sta vecchia che non s'è accorta che son qui." o anche "Siam solo in due in questo ascensore, se mi lascio andare questo qui capisce subito che sono stato io.") e l'approccio Deduttivo ("Chi se ne accorge prima, vuol dire che l'ha fatta lui" o anche "Siam solo in due in questo cazzo di ascensore e questo fetente di fronte a me ha tirato una ranfa2 che mi son venute le lacrime agli occhi.")

2= Anche con dicitura "...ha emesso un apache", qualora l'esempio congetturi la presenza di un esperto in materia.

martedì 8 novembre 2011

Grazie (davvero, grazie mille!)

Mi scuso per aver scritto questa cosa lunga, ma qui si parla dei fondamentali dell'autopercezione del valore di un uomo.

Qui, tutti hanno un cognome dialettale, che definisce qualche caratteristica della gènia.
Di molti, conosco solo il cognome dialettale e non quello vero, per dire.
Il cognome dialettale della mia famiglia è "Faltòt", che vuol dire "quelli che sanno fare un po' di tutto", e si riferisce al fatto che manualmente la mandiamo parecchio.
Almeno, i miei parenti di sicuro la mandano parecchio.
Mio nonno faceva il factotum nella tenuta di dei conti che venivano oltre da non mi ricordo dove nella loro residenza estiva.
Mio padre e mio zio sono in grado di aggiustare un motore, una caldaia, una lavastoviglie, una lavatrice o un qualsivoglia mentre fanno il cemento per coprire le tracce dove hanno messo un nuovo impianto idraulico o elettrico, mettendo in opera un pavimento in piastrelle mentre saldano un pezzo di ferro lavorato a misura e prendendosi una pausa durante la quale installano un citofono o costruiscono un mobiletto per gli attrezzi, piuttosto che buttare su un controsoffito o una parete in cartongesso.
Se hanno le vene occluse, secondo il dottore è colesterolo, ma secondo me è stucco.
Poi, mio zio -ex ferroviere- eccelle nell'elettrotecnica mentre mio padre -ex bancario- nella falegnameria.
Gente che guarda come uno spreco di carta i manuali di istruzioni contenuti in qualsiasi elettrodomestico e kit di montaggio.
Io son sempre stato trattato con un po' di sufficienza come uno con poca manualità, perché son appena in grado di imbiancare e decorare, stendere intonaci, mettere il parquet finto di Ikea a casa mia, smontare e rimontare sanitari, costruire porticati e -al limite- mettere su un paio di mensole o sistemare prese elettriche.
Non ho mai voluto una macchina grossa, ma ho avuto una maestosa erezione nel momento in cui ho realizzato che possedevo contemporaneamte il mio trapano personale, il mio kit di cacciaviti personale e la mia nuova fiammante  e personalissima scala in alluminio.
Ho un avvita-svita che si chiama Berenice cui ho confidato segreti che neanche ai miei migliori amici.
Quando inizi un lavoro, di solito metti in conto che il lavoro triplichi.
Per me la cosa è sempre stata un po' una rottura di maroni, mentre penso che per altri in famiglia sia quasi fonte di piacere sessuale.
Se si spostano due mobili e tre mensole, di solito ci si trova a dover rifare anche un po' l'intonaco e -già che ci sei- dai un'imbiancata e metti a posto un paio di prese elettriche; io lo chiamo il "Principio di Esponenzialità del Lavoretto".
Poi è arrivato Alberto. Alberto abita a 50 metri da casa mia, sopra il mio negozio; gli vedo i terrazzi. Quando lavoravo di edilizia leggera e pesante in negozio mi ronzava sempre attorno e diceva la sua, come facevano altri passanti. Se a questo assommiamo che il mio negozio è di fianco a un barbiere, lavorare lì era il corrispondente in tuta da imbianchino di giocare a tresette al bar, con dietro e di fianco dieci vecchietti che quando tocchi la carta sbagliata sospirano, tirano su col naso o imprecano preventivamente.
(una volta ho toccato una carta della cricca di bastoni mentre dovevo giocare spade e penso di aver fatto ingoiare un paio di dentiere)
Alberto, un mesetto fa, ha smontato le sue finestre di legno per carteggiarle e ridipingerle.
Alberto aveva un piano ferreo e studiato, che recitava "carteggiatura - stesura impregnante e colore - rimontaggio degli infissi".
In culo al "Principio di Esponenzialità del Lavoretto", ho scoperto che Alberto non ne è conscio, ma lavora per principio inversamente proporzionale: tre settimane fa ha detto serenamente "E' fatica davvero" e ha deciso di dare il colore solo sul lato visibile esternamente, due settimane fa ha detto tranquillamente "Carteggiando ho fatto crepare i vetri, però poco." e ha deciso di rivestirli di pellicola trasparente e rimetterli su così come erano, una settimana fa ha detto seraficamente "Non è che ti rimane del silicone?" ma non ha voluto dirmi a cosa gli serviva.
Poi è andato, felice e tranquillo, a fare un giro in autobus.
Lavora utilizzando il "Principio di Riduzione dell'Obiettivo"; ieri guardavo quei cavalletti e quelle finestre smontate, sul suo terrazzo, e mi sa che il piano ora è "sperare che il bel tempo tenga e riportare in casa le finestre rotte prendendo meno botte possibile dalla moglie".

Allora volevo dire "Grazie Alberto (davvero, grazie mille)!"

giovedì 27 ottobre 2011

Delle volte capita di morire

Chiedo scusa, ogni tanto mi scappa da essere serio.
E' morto un motociclista famoso, di recente.
E' morta anche un sacco di altra gente, ma non ha avuto la stessa eco mediatica del motociclista, che era molto giovane, amato e conosciuto; io non lo conoscevo granché perché non seguo gli sport, però mi pare un tipo simpatico e mi piace, anche perché è nato molto vicino a dove sto io e parlava un romagnolo come il mio, se non ancora più accentuato.
Insomma, ultimamente ho sentito e letto molte volte le solite frasi: "se ne è andato", "ci ha lasciato" o robe simili.
Io non sono mai stato d'accordo con queste frasi, però non mi sembrava il caso di dirlo, perché venivano usate in occasioni luttuose private e quindi non mi pareva adeguato stare lì a puntualizzare.
Per cui, approfitto del carattere "pubblico" di questa morte per dire la mia su queste espressioni che si usano abitualmente in queste tristi occasioni, su modi di dire che proprio mi infastidiscono.
Queste persone non se ne sono proprio andate, nè ci han lasciato: sono morte.
Non hanno potuto scegliere, non sono andate di loro volontà altrove, non sono la mia fidanzatina del liceo, che mi ha deliberatamente lasciato.
Se avessero potuto, probabilmente avrebbero tirato avanti fino ai cent'anni, ma non han potuto perché gli è toccato morire.
Se qualcuno se ne va da un'altra parte o mi lascia e la cosa non mi rende felice, io non ne penso un granché bene; ma questo vale se queste espressioni non si usano riferendosi ad un defunto.
Però ci aiuta, con i morti: son forme che ormai son date per assodate, ci han lasciato, son andati via, e noi li amiamo lo stesso, nonostante questa loro volontà anche solo linguistica di andarsene, di lasciarci, che comunque ci aiuta un minimo ad allontanarci da loro, a continuare a vivere.
Ma no, non se ne va nessuno, non ci lascia. E' che gli tocca morire, e il più delle volte non ne ha responsabilità, mentre a noi tocca vivere, e secondo me ci toccherebbe prendercene la responsabilità senza tanti giri di parole.

lunedì 10 ottobre 2011

Allons enfant

Allora, io ho questo negozio che mi veste bene perché è piccolo come me, dove vendo le robe franScesi, le borse franScesi, i portafogli franScesi, le scatole di latta, gli accessori e gli ombrelli e le pochette e quaderni tipo moleskine e album per foto e specchi da borsetta e tutto tutto o quasi molto franScese.
E ho trovato della roba nuova, molto bella e franScese e ne ho comprata per Scentinine di iùri e mi è arrivata che era la metà di quella che doveva essere.
E il commerciale non rispondeva e il corriere non ne sapeva e ho pensato in corsivo (perché io penso in corsivo) A-ah ma che vi credete, io vi seguo fino alla tana, io le robe che ho pagato le voglio sul tavolo come la lattina dell'Olio Sasso, adesso, che vi credete, franScesi, io parlo inglese e franScese e mi faccio capire male uguale in tutt'e due e adesso vi seguo fino alla tana e ho telefonato in FranScia.

Tuuuuut. Tuuuuuut. Tuu-
"P...p...prònto?"
"Ello. Sgie suì Van, gl'appél par l'Italì... Parlonnnù in franScé u in anglè?"
"Come preferishsce, sce vuole parliamo italiano."
A-ah che ti credi signorina con la voce vellutata gentile, di mettermi sotto? Io parlo franScese...
"Osciurduì, il a etè la livresòn me sont arrivè la meté...mh, la demie de mes scioses... Quescqu'il pass?"
Giustificami questa, signorina gentile dalla voce vellutata gentile gentile, a-ah!
"Talvolta consCegnano in due volte. Arriva domani, il resto della consegna. E' strano, ma lo fanno, mais ha fatto benissimo a chiamare. Verifico subito e poi le telefòno, Emanuele. ...va bene?"

Poi ho avuto questa visione di me come gatto Silvestro quando passa la gattina bianca franScese, che si solleva di mezzo metro dal suolo e la segue a naso in alto e occhi socchiusi, e pensavo Vuoi che mi paracaduti dietro le linee nemiche, in una Parigi occupata? Vuoi che mostri il petto al cecchino nemico, sulla linea Maginot? Vuoi che ti regali un'altra volta la Gioconda?
Non c'è problema, basta che me lo chiedi con quella vocina e con quel modo.
Tutto, tranne mangiare lumache. Credo.

"Ah, s'é parfé... Sì, sì, va benissimo. Non ti preoccupare, mandami una mail, se credi. Hai la mia mail?"
Come è successo che siamo passati al "tu" e che io ora parli italiano?! Vabbuò.
Poi ho iniziato a dire la mia mail e lei ha finito di dirla insieme a me, all'unisono. E ha riso. Un po' anch'io, all'unisono, ma mi sa che sembravo scemo. Di sicuro, più scemo di lei.

Mezz'ora dopo mi arriva questa mail "Gentile Emanuele [...] Tutto bene [...] Grazie mille [...] Chiamami quando vuoi [...] Ti saluto cordialmente.".

Ho capito, perché questi qui hanno fatto la rivoluzione e noi no.

venerdì 26 agosto 2011

Una parola è troppo troppa e due sono poche

Volevo far presente che delle volte mi vengono in mente o dico delle robe che starebbero in mezzo a dei discorsi, solo che non mi vengono in mente o non dico i relativi discorsi.
Son robe che si atteggiano a solitarie, che sono successe davvero davverone o che sono solo successe dentro di me, perché comunque davano un tono all'ambiente.

Tipo

Reperto 1
Ho fatto una scoreggia che mio padre si è svegliato con le lacrime agli occhi.

Reperto 2
"Buongiorno."
"Buongiorno!"
"Cioè, buonasera, son le dieci..."
"Andava bene anche 'Buongiorno'; lei è il cliente e quindi ha sempre ragione."
"Mi sta prendendo in giro."
"Le ho già detto che il cliente ha sempre ragione?"

 Reperto 3
Quando faccio i mischioni di alcoolici e le sbronze cattive, spesso verso le 5 e mezza di notte son a letto e caccio un ruttone risolutivo. Sto meglio ma in media vengono giù 3 piastrelle del bagno.

Reperto 4
 Delle volte, ci costringiamo a scelte dicotomiche senza intravedere la giusta terza via. La senape, tipo.

Reperto 5
"Babbo, perchè mangiamo solo insalata?"
"Perché batto tutti gli scontrini fiscali e non compro nulla in nero. E comunque non c'è solo l'insalata: noi mangiamo insalata e ideali; passami il vassoio con la correttezza, per favore."
"Ma io ho fame: ci son rimasti quei fagioli che avevamo ieri?"
"No. E comunque erano fagioli e solidarietà. Di quella, ne è rimasta, ma non fare l'ingordo, lasciane un po' per tuo fratello.
E lasciate un po' di spazio, che per dessert c'è dell'equità."

Reperto 6
Io, di mestiere, picchio le piante. Mi ha insegnato tutto uno zio che schiaffeggiava i platani. Però per lui era solo un hobby.

Reperto 7
"Ti prego, guariscimi dal mio disturbo specifico dell’articolazione e dell’eloquio, Santa Geresina del Teresin Bambù!"


Avrei altri reperti, ma mi pare che basti.

lunedì 15 agosto 2011

Eppure ci fu un tempo in cui ci amavamo, Matilda

Eppure, mi ricordo, ci fu un tempo in cui ci amavamo, Matilda.
Mi ricordo che eri piena di pelle da tutte le parti, e che odorava di spuma bionda.
Mi ricordo che una notte, la Notte degli Amidi Umidi, a casa tua mi son svegliato alle tre e ti ho detto Avrei voglia di patate al forno per scherzarti e che alle quattro mi hai svegliato con le patate al forno calde, quindi ho pensato Che donna zerbino, la lascio, la lascio ma tu, Matilda, poi mi hai detto Adesso ti mangi le cazzo di patate e non mi tocchi, mi sei salita a cavalcioni di spalle e mentre mangiavo mi cavalcasti che il mio pistolino si sentiva non dico il re ma di certo almeno il principe dei pistolini, e se smettevo di mangiare o ti toccavo ti fermavi, Matilda.
Quella notte ho capito dove han preso la forma dei violoncelli e chi comandava.
Mi ricordo un'altra volta, Matilda, che ci eravamo infrattati con la tua macchina e tu mi dicevi Mettiti bene, i sedili basculano e io rispondevo che non sapevo nulla di meccanica e neppure di secessionisti iberici poi sei partita con un gran pavese di suffloni che io ho pensato che eri stata almeno tre settimane nel deserto e agognavi liquidi, non foss'altro che la mattina t'ero passata a prendere a casa e t'avevo portato le prime fragole della stagione ma tu m'avevi detto Son allergica, Matilda.
Mi ricordo, Matilda, che avevi un culo che lo si poteva usare come unità di misura della grazia e della bellezza, posto ad esempio il Rinascimento misurare 100 matildaculi e la Multipla misurare -100 matildaculi.

Poi m'hai lasciato per quel ragionierino di Riccione.

E mi ricordo che vi pedinavo e eravate felicissimi e io vi odiavo e vi guardavo male da dietro delle colonne, che fortunatamente trovavo in ogni dove voi vi recaste, Matilda.
Allora ho allentato i bulloni delle ruote della macchina del ragionierino, Matilda, ma poi s'è spatasciato contro un platano il suo fratellastro, che lui odiava perché gli fotteva sempre la macchina e la riportava senza benzina e così il ragionerino ha ereditato tutto lui.
Allora gli ho sfondato il vetro del cucinotto e ho buttato dentro un secchio buono di bigattini, Matilda, perché delle mosche vi infestassero la felicità ma poi lui coi soldi ereditati ha investito in un allevamento di bigattini e ora è leader nel settore esche per pesca sportiva, pur diversificando il portfolio e avendo anche investito in coltivazioni di fragole di cui tu -per inciso- ora ti strafoghi, Matilda, ho visto da dietro la colonna.

Poi, mi ricordo, mentre ero tutto concentrato a odiarvi forte forte mi è passato davanti un altro signor culo, Matilda, e allora Ciao eh, Matilda, ciao.

venerdì 15 luglio 2011

Buon compleanno miss Grape

Mia moglie è una tosta, e io l'amo nonostante Ella.
L'altro giorno andava in bicicletta a comprare il giornale e dice che ha visto vicino all'edicola un bel tipo, uno che somigliava a Giònnidìp. Si è fermata all'edicola e l'ha incrociato e allora ha guardato meglio questo tizio che era bello, sì, ma lo sapeva, e ciò è gravissimo.
Dice la mia moglie -sempre Ella ch'io amo- che egli sapeva pure di assomigliare a Giònnidìp, dato che dovevano averglielo detto e allora questo qui si atteggiava tutto, si era vestito e s'era pure fatto il taglio di capelli tipo come s'imposta il celebre americo divo.
Pure un'occhiata dìppesca, le ha lanciato.
Allora Ella, mia moglie, che è una tosta e che gli stan sul cazzo gli atteggioni dice che s'è tolta un'infradito e ha fatto il gesto di tirargliela urlando Vai a fare lo sborone da un'altra parte, merdetta d'un atteggione dei miei maroni, tanto che questo copione merdone s'è allontanato rimanendoci tutto male, ah-ah.
Ella è fiera di lei per come è Ella e pure io lo sono (non nel senso che io sono come è Ella ma in quello che pure io, di Ella, son fiero).
Sul giornale del giorno dopo c'era scritto"Pazza aggredisce Johnny Depp".

venerdì 8 luglio 2011

Sssh.

Il dubbio iniziale di molti fu tra l'essere divenuti sordi o muti.
Perché s'era visto da quasi subito, che chi stava ascoltando d'un tratto non capiva chi parlava, e chi parlava vedeva dalle espressioni dei suoi interlocutori che questi non capivano più.
Non s'è mai saputo, probabilmente erano diventati sordomuti.

Doveva essere stato tutto quel parlare, tutto quell'ascoltare,
quella continua fuga dal silenzio.

La gente ingrassa perché è programmata per mangiare più del suo bisogno, quando ce n'è, perché poi la natura non è che il giorno dopo ti garantisce di nuovo da mangiare.
Alcuni ci muoiono, per anni di troppo mangiare.

La gente però è anche programmata a sfuggire il silenzio, a farsi tribù, quando ce n'è, perché è più facile sopravvivere.

D'un tratto, ognuno con se stesso, di fronte al proprio silenzio.
A vedere se un po' si piaceva da solo o se aveva bisogno del continuo sguardo degli altri addosso, a prendersi la responsabilità dei propri pensieri, della propria sola visione del mondo.

E quei due bambini sulla spiaggia, lui a dire con gli occhi a lei, che ha ancora un dito nella sabbia,
"grazie, che mi hai disegnato un'onda."

Sssh.

mercoledì 15 giugno 2011

Oh! Dunque... (siamo ovini o caporali?)

Allora, dice che abbiamo votato e abrogato ma che non ha una valenza politica.
Sì, in effetti abbiamo votato e abrogato roba che mica stavan portando avanti loro, mi sa che si eran tipo trovato dei testi di legge sull'acqua, sul nucleare e sul legittimo impedimento nell'uovo di Pasqua regalato da zia e allora, cosa vuoi, zia ci rimaneva male e quindi a loro toccava portarli avanti e a noi è toccato abrogare.
E' più che altro una sconfitta per zia, che comunque non è che si può dimettere da sorella di babbo o di mamma, quindi resta lì.
No, ma neanche; è una sconfitta politica di chi mette le robe di legge nelle uova di Pasqua, ma vallo a pigliare.
Dev'essere uno che c'entra con piazza Fontana, o con l'Italicus o con Ustica perché mica lo sapremo mai, chi infila le robe di legge nelle uova di Pasqua.
Poi, no, comunque stavolta c'è da esser fieri dell'Italia.
Di solito io son fiero dell'Italia quando penso al Rinascimento -quasi già Italia, dài- o davanti a un piatto di pappardelle al cinghiale. Invece stavolta c'è da essere fieri fieri, non nel senso di un rigore di Grosso e neanche di una falcata di Alberto Cova.
E sempre alle uova si torna.

mercoledì 11 maggio 2011

Pensieri attorno alla Chiesa (Pansìr da tònda ma la Cisa)

Sono andato a un funerale; è morto il papà di un mio amico.
Io in chiesa non ci vado mai, neanche a Natale o a Pasqua, la risposta che do ai testimoni di Geova quando mi fermano per strada chiedendomi le loro robe è Ci ho messo quasi 40 anni a liberarmi dal cattolicesimo, non mi sembra il caso di imbarcarmi in un'altra roba di quelle e poi mi godo i loro sguardi da mucca mentre passa il treno.
Al funerale il prete diceva delle cose che trovavo non condivisibili nelle premesse, per cui anche le sue chiuse di ragionamento erano totalmente incongruenti alla mia visione delle cose.
Quando ne parlo con dei Credenti, dicono che ragiono così perché non ho il dono della Fede. Io di mio non sono molto geloso delle cose degli altri, per cui se gli fanno dei regali, ai Credenti, io son contento per loro e basta.
Comunque parlare con un Credente, è dura; arriva sempre un punto in cui c'hanno il jolly che io non ho il dono della Fede e mi sembra come essere dichiarato pazzo negli anni '20 o '30, che se poi dicevi Non è vero dicevano Nega perché è pazzo e se dicevi Ah, sì?! Allora sono pazzo dicevano Ha ragione.

Al funerale ci sono stati anche dei momenti belli.


Un familiare ha detto che durante le sua malattia, il papà del mio amico rassicurava e faceva coraggio ai suoi familiari. Questa è una cosa che anche un Non Credente si deve segnare, perché ha un sacco di senso. E' come dire ai propri figli Fino a oggi ho cercato di insegnarti a vivere, da ora provo a insegnarti anche a morire.

Io sto sulle palle almeno almeno a 2-3 persone, con le quali ci siam tolti il saluto, però lì al funerale è come se avessimo pensato Va là, va là, ci son robe più importanti. e ci siamo salutati. Con 1-2 di loro, con quello che manca no perché è davvero uno stronzo.

C'era un papà che, quasi una ventina di anni fa, gli è morto il figlio. Il figlio è un mio grande amico e con suo papà ci siamo raccontati come stavamo e poi gli ho detto Sai, la settimana scorsa è venuta una mia amica che vive lontano e gli raccontavo di tuo figlio e ridevamo delle sue battute e lui mi ha detto Te e lui eravate amiconi per davvero. e per la prima volta in quasi vent'anni gli ho detto che gli era capitata la cosa peggiore che può capitare a un padre e che era stato veramente cazzuto.
Non ho usato proprio queste parole, ma il senso era quello.
  
Son tornato a casa che ero un po' triste come quando torno dai funerali in generale, ma è il primo funerale da cui torno più sereno.


***

Ci son poco e niente, trascuro la scrittura e il disegno. Le mie scuse a Vaniglia, soprattutto.
Sto cercando di far realizzare questo, e di tempo ne rimane poco.

domenica 17 aprile 2011

Cose che sossono puccedere (poche cose come l'edilizia leggera sviluppano il senso del nonsense)

"Lei che lavoro fa?"
"Io lavoro in team."
"Che fa questo team?"
"Facciamo i legnasibri."
"...i legnasibri?"
"I legnasibri."
"..."
"..."
"Ah! Ho capito! E' un gioco che ho fatto anch'io qualche volta, con gli amici: dicevamo tipo Fermati al Tali e Sabacchi oppure Avrei voglia di bere una Recchia Vomagna o anche..."
Non finì la frase perchè l'altro, dopo averne ascoltato l'inizio, inclinò leggermente la testa a destra e poi gli tirò una randellata che, con moto orizzontale, gli si stampò violentemente subito sotto l'orecchio.
Rovinando a terra, sentì il randellatore che urlava "Ragazzi, venite, ho trovato un Sibro!"

venerdì 8 aprile 2011

Impara l'arte stai ordinatino

"Qual è lo stato dell'arte?"
"L'arte è da parte."
"Da che parte?"
"Quella giusta."
"Ma non la trovo!"
"Appunto."

sabato 2 aprile 2011

Storia di strada

- Signorina, che fa lì a terra, ha perso qualcosa?
- L'equilibrio.
- ...e quindi, giustamente, sta a terra. Si rende conto della portata metaforica della cosa?
- Sì, infatti il mio impianto metaforico è molto sotto pressione.
- Quanto misura la pressione del suo impianto metaforico?
- 4,15 bar.
- E' tanto.
- Sì, soprattutto se considera un paio di grappini a bar.
- Il che spiegherebbe anche il suo essere a terra. Lo 0,15?
- Non confonda la causa con l'effetto. Lo 0,15 è perché ho urlato al cameriere del quinto bar di portarmi un grappino qui e penso di avere il 15% di possibilità che ciò accada.
- Mi piace come ragiona lei, la aiuto ad alzarsi?
- Si stenda lei, al massimo.

sabato 19 marzo 2011

Oceanica

Scusate, me ne impiperno -un attimo solo- delle votazioni di questo e divago.


Un cazzo. Un beneamato cazzo. Un. Cazzo.
"Signori, è stato un onore suonare con voi stasera" un gran bel cazzo.
Non eravamo nè al Bolshoi nè alla Royal Albert Hall, eravamo su una cazzo di nave del cazzo, non è stato un onore. E' stato lavoro, ed è finito male; la cazzo di nave del cazzo è affondata.
La inaffondabile cazzo di nave del cazzo è andata giù e io son qui che cerco di galleggiare.
"Signori, è stato un onore suonare con voi stasera" il mio bel legnoso scroto, e vedete di fare con le mani e con i piedi per tirarmi fuori di qui, che io non son fatto per galleggiare, son fatto per suonare.
E faccio fatica a stare a galla almeno quanto me ne fotto dell'epica della tragedia.
Non mi state a contemplare eroismi ma venite a tirarmi fuori che l'avete costruita voi e voi mi ci avete messo, sulla cazzo di nave del cazzo.
Io, nella vita, sono un contrabbasso. Al momento galleggio, a pancia in giù.
C'ho aggrappato un bambino, avrà sette anni. Galleggiamo.
Io son pieno d'aria e finchè non mi si inclina troppo non entra l'acqua dalle vezzosette aperture che ho nella pancia, e galleggiamo.
So di un sacco di gente che si gonfia d'aria e va avanti una vita.
Io però, per me, non lo so.
Al momento ho due corde e il bambino mi abbraccia.
Mi sa che piange, anche se non son sicuro, dato che son di spalle e piove. Pure.
No ma bambino, ma smettila per la madonna, io devo stare a galla, ho bisogno che mi fai coraggio, no che piangi.
Noi, così come ci han messo su quella cazzo di nave del cazzo, ci tireran fuori di qui, vedrai.
Oppure -t'immagini?- no.
E andremo giù, e io suonerò mentre tu canterai. Faremo un gran concerto.
Saremo la musica del mare, io con la mia timbrica e tu con le tue melodie, saremo famosi e apprezzati. Verranno a sentirci le goffe tartarughe, le spettrali mante, i pesci colorati e anche quelli un po' più monotoni, e il corallo ci vorrà fare da diapason mentre le alghe si agiteranno lievi come le mani di un direttore d'orchestra.
Però non piangere, che ho bisogno che mi fai coraggio e ho solo due corde.
Terranno il ritmo con la bocca e le pinne, vedrai, e nessuno avrà paura degli squali, che rimarranno anche loro rapiti ad ascoltarci.
Le onde ci indicheranno la velocità e le bolle sembreranno note su un pentagramma, vedrai.
Tu non ti preoccupare, tu continua a stringermi e fammi coraggio.

Sipario.

mercoledì 9 marzo 2011

On diménd (domani? di domenica?)

Io quelli che iniziano a scrivere le robe con "io" quando davvero parlano di loro spesso faccio fatica a sbatterli, mi sembran vanitosi, che debbano affittare un garage per l'ego, che non abbiano lo sviluppo emotivo cotto a puntino.
Io infatti non è che mi sbatto molto ultimamente, mi malsopporto, un po' mi sgrido anche e poi mi sono inventato un amico immaginario che ogni tanto mi dà una gomitata per darmi una regolata (si chiama Cionco. Cionco, saluta i ragazzi. Muove la mano, Cionco, lui è uno di poche parole).
Io -per inciso- non mi prendo proprio coi gatti, anche se voglio bene a un sacco di gente che vuole bene ai gatti, ma la propietà transitiva dell'affetto se tra le variabili ci siamo io e i gatti mi sa che non si applica; ci assomigliamo troppo, coi gatti: siam pigri e territoriali, vivremmo solo la notte, facciam le fusa spesso ma guai a fraintendere sulle giuste distanze.
Io -a proposito di creature pigre e che si fermano a fissare cose che non si sa- è un periodo che voglio scrivere delle cose e le ho anche un po' -parecchio- in testa però non c'è mezzo, anche solo rispondere bene ai commenti, da un po' non c'è verso; poco tempo fa pensavo dai oh adesso rispondo mi ci metto e rispondo benino e ora mi ritrovo Cionco che mi sgomita e dice non hai ancora risposto?! sei un merdone assassino.
Io tipo son tre mesi che ho iniziato un racconto lungo per uno che me l'ha chiesto e sono ancora a metà, non so più in che lingua scusarmi, pure Cionco quando penso a quel racconto mi guarda severo sQuotendo la testa perchè ormai gli fan male i gomiti (Cionco ha un'età; va per i quaranta).
Io allora pensavo ma dai ma vivalamadònna ma è internet, che è sta fruizione a posteriori? Li faccio interagire anche prima, si prendan delle responsabilità vividdio.
Io insomma volevo dire che ho in testa tre cose, una è tipo sulla morte ( mi sono accorto che scrivo spesso sulla morte o partendo dal punto di vista di uno già morto. Così, per essere sicuro che le cose possano solo migliorare, forse), una è sul marketing e sul fare la spesa (che poi mi sono accorto che ho già scritto sul fare la spesa e che anche lì c'erano un sacco di morti e alla fine moriva anche il tipo che faceva la spesa) , una mi parte sull'amore ma poi naturalmente non so dove mi va a parare (non escludo che possa morire qualcuno, certo).
Io vorrei che mi diceste quale volete; arrivato a una decina di commenti parto a scrivere, forse.

Vado a consolare Cionco, giurerei che è di là che singhiozza con la testa tra le mani perché s'è accorto che ho pensato magari muoio e viene fuori che son stato il capostipite della Necroratura.

mercoledì 23 febbraio 2011

C'ho un amico (poesia senza rima nè metrica)

Io c'ho un amico
che gli sono grato
tra l'altro
perché lo amo
ma non lo limonerei
e quindi son sicuro sicuro,
che mi piace la pavaiotta.

Si è dimenticato
la sciarpa a casa mia
una mattina
perché non voleva andare via
per davvero
e io fumo con la sua sciarpa,
e penso "chi sa come sta."

Il mio amico
è del tipo
che se lo chiamo a Rimini
e gli dico
"Son nel fosso. A Perugia.", tipo
lui parte e mi tira fuori,
senza domande che non voglio.

Lui di tutti
il mio amico
non mi ha mai tradito.
Solo una volta,
mi ricordo perché la pancia mi urlava,
ma poi è venuto fuori
che aveva fatto bene così.

Il mio amico
è diverso diverso da me,
appena sveglio fuma sul divano.
Per delle robe è meglio di me
ma in un altro modo.
Se poi muoio  davvero, son contento
perchè da lui mi son lasciato conoscere.

Anche lui, penso.

sabato 19 febbraio 2011

Le cose che avrei voluto dire/5

Continua il mio non sfangare buone fette di umanità.
Laonde per cui, continua anche la solare e proattiva rubrica "Le cose che avrei voluto dire", giunta oramai al suo quinto conciliante capitolo.
Eccolo qui.





















Gli altri sereni e costruttivi capitoli son qui, qui, qui e qui.
E qui. Non lo faccio più, scusate.
 Se qualcuno vuole un originale, mi scrive qui o qui e -se non è già andato via (il disegno, non quello che lo vuole)- glielo mando (anche se non è andato via quello che vuole il disegno, in effetti).
Bòn.
State bene.

Edit:
Logicamente ve li mando per gusto mio, non costano nulla, ci mancherebbe.

lunedì 14 febbraio 2011

Creeptyca

- balsamo per lei (chiedere quale)
- spazzolini
- termometro
- carta igienica
- pane in cassetta
- biscotti

C'è sempre poca gente al centro commerciale, il lunedì pomeriggio, - pensava- e oggi parecchi mi sembrano particolarmente brutti. Malaticci, segnati. Qualcuno pare intorpidito, imbambolato. Boh.
Il lettore mp3 non lo portava con sè da anni. Gli sembrava troppo giovanilistico e comunque gli piaceva sentire le voci, i rumori. Quella volta, però, l'aveva visto fuori posto e l'aveva messo in tasca meccanicamente, per poi dimenticarsene e andare a fare la spesa. Tastandosi la tasca per controllare di avere ancora le chiavi della macchina, se ne accorse e pensò Ah, già. Vabbuò, stai lì e rimani spento, a dormire.

- pane in cassetta
- biscotti
- pan carré
- formaggini
- yogurt
- insalata

Faceva freddo, vicino ai banchi frigo dei latticini e lui pensò Devo fare pipì. e sorrise. Che storia, come quando mi porto i bambini, che devo sempre mollare il carrello al banco informazioni per portarli in bagno. Quei piscioni -eh eh-, come ieri sera mentre leggevo 'Il lupo e i sette capretti', sempre  a fare un giretto al bagno. "Glielo posso lasciare un attimo? -disse alla signorina con la cartellina in mano- Torno subito, il tempo di fare una telefonata." e lei acconsentì sorridendo. Boh, stanno in mezzo e sembrano tutti invorniti si disse, raggiungendo il bagno. Bottoni. Mutanda. Sollievo. Sentì in lontananza un forte rumore, un colpo secco, e non ci fece caso. Sciacquone. Bottoni. Porta. Lavandino.
Entrò di corsa un uomo, lo urtò e si infilò in un bagno. "Ma che cazz..." disse. Ma niente, l'uomo s'era già chiuso a chiave. Deve scapparti forte, testa di cazzo. Spero che tu ti sia cagato addosso per metà, maleducato. pensò, per poi continuare Fanculo, se siete brutti oggi. Mi isolo., tirò fuori il lettore mp3, si  mise le cuffie e lo attivò.
Un paio di persone, tra lui e il suo carrello. Imbambolate. Il carrello era al suo posto ma la signorina gentile non c'era più. C'era la sua cartellina, abbandonata sul bancone.
Avrà avuto da fare, peccato non poterla ringraziare. E poi era carina.

- yogurt
- insalata
sottilette
- cotto da toast
- carne
- frutta


Acquattato da qualche parte dentro l'mp3, il simulacro di Stone Gossard partiva da solo con un riff in LA mentre lui pensava Diomadonna, la schitarrata di Alive anche vent'anni di distanza è una roba da far scaraventare i culi su dalle sedie. Dovrebbe essere obbligatoria a scuola., quando notò due donne malconce che gli si facevano incontro. Una zoppicava, pure.
Ma che, fanno entrare i barboni o gli psichiatrici senza accompagnatori, e pure trasandati?! pensò. Non fece in tempo a finir di dire "Signora, sta bene?", che sentì uno spintone alle spalle e cadde sbattendo sul carrello prima di rovinare a terra, ai piedi delle donne che ormai lo avevano raggiunto.
Iniziò istintivamente a scalciare e a tirare pugni alla rinfusa, mentre i quattro zombie si accanivano su di lui.
Fece in tempo a  pensare I bimbi sono a casa. Dio, fa' che abbiano compreso la favola, fa' che non aprano la porta a nessuno che non riconoscono.

venerdì 4 febbraio 2011

Gina Jam (uno scritto autobiografico pieno di rock star, incidentali, parenti e parentetiche)

Mia nonna Gina si chiamava in realtà Virginia (cosa che permette ancor oggi a mio padre di affermare in piena coscienza Non viaggio molto ma sono stato nove mesi in Virginia) e trattava su tutto il trattabile. Io da piccolo mi vergognavo ad andare al mercato -e soprattutto nei negozi- con lei perchè chiedeva sconti di continuo e lottava anche sulle duecento lire, e tirava dritto sorridendo finchè non la spuntava (sorrideva spessissimo e rideva spesso, della grossa [l'ultima volta che l'ho vista viva ero da solo con lei in Rianimazione e le ho detto Porca boia nonna sei piena di fili e di lucine, sembri un flipper e lei ha risposto ridendo e tutta stimandosi Hai visto come mi badano bene?]). Poi ho capito che mia nonna Gina s'era sciroppata gli effetti di due guerre mondiali e che dai debiti aveva costruito una casa, mentre io le guerre e la casa me le sono trovate già fatte e quindi ora un po' mi vergogno perchè mi vergognavo. Faceva spesso piada e cassoni o pasta fatta a mano per tre famiglie e ci diceva sempre quanto aveva risparmiato facendoli lei anzichè comprarli.
Nonna Gina contrapponeva a questo pubblico risparmiare una generosità privata composta (oltre che dalle sue attenzioni) dalla "pensione", una piccola somma che regalava a noi nipoti quando le arrivava la pensione e da piccoli prestiti che ci faceva e definiva ridendo "a fondo perduto".
Io quando avevo ventuno anni facevo l'università, suonavo il basso in un gruppo che qui in zona (e anche un po' più in là) diceva la sua e dovevo trentamila lire a mia nonna Gina (e anche se me li avrebbe regalati traquillamente, quella volta ci tenevo a restituirglieli [non mi ricordo il perchè]).
Attorno a quegli anni, inoltre, cercavo di diventare una rock star e di morire giovane lasciando un bel cadavere e andavo anche a un sacco di concerti; mi son visto tipo gli Smashing Pumpkins quando ancora avevano la bassista bionda (quella volta mi sono piazzato strategicamente in mezzo a un gruppetto di ragazze così quando partiva il casino non mi menavano molto e queste alla prima nota si sono trasformate in indemoniate che mi han preso per ore a gomitate negli organi nobili [che io mi ricordo pensavo Al limite volevo morire su un palco, mica di fronte]), i Soundgarden (approfitterei per dire Mi spiace, Soundgarden, che vi abbiamo tirato i sassetti della ghiaia [che dalle casse si sentivano i "tic tic" sui piatti della batteria], perchè in generale suonavate benissimo tranne il bassista che era più di là che di qua [e poi quando sbagliava di continuo e noi pubblico rumoreggiavamo non doveva proprio farci il gesto dei soldi come dire "Voi avete pagato per essere qui"; dopo ci credo che vi tiriamo i sassetti della ghiaia. E poi, Soundgarden, lui comunque alla fine ci ha tirato addosso il basso -che io non ho mai visto un Fender Precision essere frantumato con quelle velocità e foga- per cui mi spiace ma mi sembra che siamo pari.]), i Pearl Jam (che siamo arrivati fuori da questo posto enorme dove c'era il concerto -vicino a una città grigia grigia- tre ore prima e mentre aspettavamo fuori, a gruppetti, al di là delle transenne [a una ventina di metri da noi] c'era della gente che giocava a pallone e un po' goffamente si passavano la palla. A un certo punto la palla gli rimbalza male, supera le transenne e mi rimbalza vicino, allora si avvicina a cinque-sei metri uno di quelli al di là delle transenne [aveva un giubbotto semiaperto e vedevo una freccia bianca sulla parte alta della maglietta nera, gli occhiali da sole e un berrettone], alza la mano e quando vede che lo guardo mi indica la palla. Io ho pensato Adesso ti faccio vedere come giochiamo noi italiani, adesso palleggio e te la mando lì giusta giusta poi invece mi son detto Va là non facciamo figure, che ho gli anfibi, l'ho solo stoppata e tirata con un piatto comodo comodo e lui ha alzato di nuovo la mano come dire Grazie e io ho alzato la mano come dire Tranquillo [però pensavo Te non dovresti essere dentro tipo a montare il palco o attaccato a un mixer?]. Poi son passate tre ore e Eddie Vedder è salito sul palco da solo con una chitarra per fare The Kids are alright degli Who prima del gruppo di supporto, perchè Eddie Vedder è un signore ed è fan degli Who. E Eddie Vedder aveva la maglietta del Live at the Marquee degli Who uguale alla mia [che me l'aveva portata la mia ex ragazza dell'epoca da Londra quando non era ex e che poi mia madre avrebbe buttato via, al che io ho pensato che volevo buttare via lei ma poi ho cambiato idea] e un berrettone. E la maglietta nera di Eddie Vedder aveva -come la mia- in alto la freccia bianca della scritta The Who e allora io ho realizzato e ho detto al primo che ho trovato di fianco a me Tecnicamente, ho giocato a pallone con Eddie Vedder e questo [che era uno sconosciuto] mi ha detto Tecnicamente, va a cagare) e altri gruppi che non sto a dire se no sembro verboso.
A un certo punto viene fuori che i Nirvana venivano in Italia e quelli del gruppo mi dicono Andiamo? e io rispondo No guarda, vorrei tanto ma non ci sto dentro, che devo ridare trentamila lire a mia nonna, sarà per la prossima volta che i Nirvana vengono in Italia e loro sono andati.
Poi Kurt Cobain si è sparato nella faccia e tutti eravamo piuttosto dispiaciuti, io particolarmente (però ero pure contento perchè avevo ridato le trentamila lire a mia nonna Gina, anche se non le voleva e avevo fatto fatica a restituirgliele).
Da quella volta, son convinto che, se c'è qualcosa dopo la morte, quando muoio se incontro Kurt Cobain non faccio in tempo a dirgli Ma che cazzo Kurt capisco tutto ma avevi una bambina e poi se ti spari nella faccia, non ce n'è, mica lasci un bel cadavere che lui mi interrompe e dice Mettiti a sedere che tua nonna ha trattato e sorriso e ancora sorriso e trattato finchè non ho accettato di suonare per te due ore, quando t'avrei incontrato. M'ha dato quindicimila lire.

***

Questo scritto autobiografico pieno di rock star, incidentali, parenti e parentetiche è dedicato a Donato (molto) e a Francesco (molto molto molto). E alle loro nonne.

domenica 23 gennaio 2011

Berlusconi dice la verità

Mi scuso per l'intermezzo serio.
Se ogni tanto, passando da qui, fate un sorriso e se volete farne ora, andatevene altrove.

Il punto è che Berlusconi dice la verità.
Secondo me la verità che comunichiamo è la descrizione della realtà tramite i fatti che scegliamo per parlarne e della nostra percezione di quei fatti.
Se noi pensiamo ad una verità, possiamo non comunicarla e per noi rimarrà valida senza mutare minimamente.
Se noi diciamo la verità illustriamo con coerenza la nostra percezione dei fatti su cui intendiamo essere veritieri ma, dato che la percezione dei fatti può essere soggettiva, una comune verità è quindi frutto di un accordo tra soggetti che cercano di intendersi e concordare su una visione della realtà che dunque, per loro, costituirà una verità condivisa.
E io temo che Berlusconi stia dicendo la verità. Altri, più o meno strumentalmente, la condividono -ma questo è un altro argomento.
Quando Berlusconi dice di non aver mai pagato nessuna donna perchè lo intrattenesse, ci crede: secondo me, dal suo punto di vista e quindi secondo la sua verità, le ragazze che frequentavano Arcore lo facevano veramente perchè affascinate e desiderose di compiacerlo, divertite dalle sue barzellette, sedotte dal suo carisma.
I passaggi di denaro per Berlusconi non rappresentano il pagamento di una prestazione -e lo dico senza alcuna ironia- ma una donazione a persone che lo ammirano e che lui può omaggiare, ripagato quantomeno dalla sua percezione -un'altra sua verità- di splendere ai loro occhi.
La ripetuta e numerosa presenza di ballerine - nella migliore delle ipotesi - non ancora trentenni in consessi che annoveravano solo lui o lui e un paio di ospiti al massimo, non rappresentano per il settantaquattrenne Berlusconi un'inopportunità, ma uno svago più che lecito anche se a concederselo è un'alta carica istituzionale; questa è per lui un'altra verità.
Il discredito e l'incredulità del mondo di fronte a fatti del genere non sono per Berlusconi motivo per dimettersi o di vergogna, poichè la verità del nostro gli racconta che tali discredito ed incredulità sono marginali e gonfiati -se non inventati- da chi gli è avverso, e comunque non in grado di ledere gli interessi o l'immagine del Paese.

Io non credo che Berlusconi -io non credo che nessuno- possa mentire così bene (se mentisse al Paese, sarebbe gravissimo, ma lui sa di non farlo), io credo che Berlusconi dica la verità.
Per questo siamo veramente nei guai.

martedì 18 gennaio 2011

E dire che era ateo

La notte, studiava da pipistrello
perché ogni giorno era meno bello.

Un mattino guardò il passato
e lo trovò piuttosto perdonato.

Alle nove aveva smesso di fumare,
alle undici aveva smesso di mangiarsi le unghie,
all'una era a dieta e
alle tre aveva trovato lavoro.

Verso l'ora di merenda lo impattò il destino
che quella volta aveva la forma d'un camioncino.

L'autista provò a evitarlo pestando sul freno
ma non ci fu modo e lo prese in pieno.

La carrozzeria s'era accartocciata,
i cristalli erano in frantumi,
il furgo era cappottato e
l'autista lasciava due bambini, una donna e un cane.

Lui invece continuò a camminare come niente, pur senza capire in che maniera
Dio avesse pensato No, adesso voglio vedere cos'altro fa entro stasera.

sabato 8 gennaio 2011

Lo sciopero dei poeti

Il giorno in cui i poeti iniziarono lo sciopero a oltranza, in molti sottovalutarono la cosa.
Mi ricordo che misero giù le penne e incrociarono le braccia, poi scesero nelle piazze e lì scandirono i loro slogan, evitando accuratamente di declamarli in rima. Per loro era difficilissimo non esprimersi poeticamente, facevano una gran fatica.
Durante la loro protesta, poi, i poeti smisero di scendere in piazza e salirono, occupando i tetti e mettendosi tutti lì, a sedere. E giù di nuovo di slogan, di santa ragione.
All'inizio non successe nulla, non sembrava una cosa in grado di bloccare un paese. Dopo tutti quegli Ah-ah che vuoi che ce ne importi, però, le persone iniziarono a lasciarsi andare a manifestazioni di sensibilità fuori luogo, per saturazione emotiva. La gente iniziò a commuoversi in fila alla posta, o mentre guidava, fino ad avere crisi di pianto e richieste di coccole nei consigli di amministrazione di aziende di rilevanza nazionale o nei rami parlamentari.
Sui tetti, intanto, i poeti avevano smesso con gli slogan perché facevano una gran fatica dato che gli uscivano cose poetiche, per cui se ne stavano zitti e seduti sui tetti a guardare l'orizzonte. Dato che era una cosa molto poetica, si erano organizzati a dire ogni tanto qualcosa di spoetizzante, per cui poteva capitare di sentirli urlare roba tipo Cos'ha fatto il Milan? o Mi passi la chiave del 12?.
Un poeta una volta urlò Non è ancora morto il tuo cane?, ma sembrava una cosa quasi poetica, per cui fu colpito da un calamaio vuoto partito da un vicino tetto, anch'esso occupato da poeti. Per cui, si rimase principalmente sul calcio, sul ferramenta o -al limite e con molta cautela- sulle cugine zoccole.
La situazione, nel paese, andò velocemente peggiorando: le persone si scoprirono dipendenti dalla poesia e incapaci di trovare le parole giuste e il loro ritmo nel veicolare sentimenti ed immagini evocative e continuavano a scoppiare in pianti fragorosi nei momenti meno opportuni.
Il primo segnale chiaro fu il crollo del mercato dei cioccolatini. Il cantautorato si paralizzò completamente. Le mamme, disperate, presero ad addormentare i loro bambini leggendogli l'elenco del telefono (Mamma, mammina, stasera mi leggi la R?). I trasporti saltarono, il paese ben presto fu in ginocchio: smise di funzionare anche il servizio di emergenza di raccolta differenziata emotiva e furono abbandonate dagli autisti in lacrime le ecoballe di sensibilità già raccolte, che in poco tempo produssero liquami che diffondevano rimpianti e sospiri in chi ne veniva in contatto.Si temeva entrassero in contatto con le falde acquifere.
Nel nord-est, ventre produttivo del paese, iniziarono a chiudere i primi capannoni.
Lo Stato cercò di correre ai ripari e il Presidente di Tutto impose norme volte a diminuire il rischio di esposizione alla sensibilità attraverso misure draconiane, tipo il coprifuoco durante albe e tramonti o l'espresso divieto di guardare i propri bambini che dormono. Si chiuse in ufficio con i suoi esperti, anche se ogni tanto si poteva sentire qualcuno che, all'interno degli uffici, singhiozzava di brutto.
I poeti continuavano a stare sui tetti mentre giù erano tempi davvero bui: di notte degli individui senza scrupoli iniziarono a spacciare figure retoriche e qualche disperato si rovinava la salute con chiasmi tagliati male, endecasillabi di dubbissima provenienza e litoti prive di negazioni.
Il mercato nero degli enjambement fece affari d'oro.
Molti si riversarono in osterie fuori mano alla ricerca di qualche anziano a cui sfuggisse della poesia dialettale, anche poca, ma la tendenza ormai era quella di cercare qualsiasi cosa potesse dare sollievo, poesia tagliata male, rime banali, che possono uccidere tipo cuore / amore o Che fine hai fatto / ti sei sistemato / che prezzo hai pagato / che effetto ti fa / vivi ancora in provincia / ci pensi ogni tanto alle rane?// L'ultima volta ti ho visto cambiato / bevevi un amaro al bancone del bar / perchè il tempo ci sfugge / ma il segno del tempo rimane.
Intanto i poeti, sui tetti, continuavano a star lì a sedere e a dire ogni tanto cose spoetizzanti, finché uno di loro obiettò Noi ci viviamo, poeticamente. L'unica soluzione mi sembra essere che dobbiam morire. e propose che si buttassero tutti giù senza avvisare nè dir niente a nessuno. Gli altri poeti lo ascoltarono e uno commentò E' triste e bellissimo, al che tutti insorsero dicendo No, ma infatti, è troppo poetico, dovremmo lasciar perdere di morire. L'empasse si risolse con la geniale trovata di un poeta che riuscì a trovare una maniera per spoetizzare l'estremo collettivo atto proponendo Buttiamoci giù, ma in mutande. e tutti si dissero d'accordo.
Il paese era al collasso e ignaro dell'intenzione dei poeti, quando si spalancarono le porte degli uffici governativi e con gran clamore di sirene e stridore di gomme il Presidente di Tutto partì con il suo corteo di auto. I poeti iniziavano già a slacciare le cinture e calare le cerniere che il Presidente di Tutto si fece dare un megafono e, da sotto i palazzi sui cui tetti s'erano seduti i poeti, disse "Venite giù, facciamo che avete ragione voi e che vi concediamo tutto."