domenica 10 gennaio 2016

RiminInvernO

Rimini in inverno è una bagascia in vestaglia, fuori servizio e col trucco un po' sfatto, ché non è più e non è ancora ora di dar via il culo ai turisti. E tutti – visto un raggio di sole – a andare al porto, uscendo in massa come le lumache dopo la pioggia, a far mucchio, a essere di Rimini. Come la nonna che perde le doppie, perchè se il nipotino corre rischiando di cadere nel porto, "Stà 'tènto, Matèo!" ha una velocità di pronuncia che può essere essenziale per la meccanica del salvataggio del pargolo. Come la banda che suona robe che ti senti già in bianco e nero, sulla terrazza del Grand Hotel, negli anni '30 a badare il culo di una finnica. Riminesi come i cinesi che pescano sugli scogli, le badanti sulle panchine di fronte alla rotonda in cui in estate allestiscono un pezzo della Festa dei Nickname Quasifamosi o la postazione di una qualche Radio Soilcazzo, come il mio sangue mezzo saraceno e quello mezzo bretone, o fiammingo, etrusco o slavo dei miei amici, tutti quanti rossi – a volerci proprio far sanguinare – come quello di chiunque, ora o nel corso dei secoli, abbia deciso o abbia dovuto andare altrove rispetto a dov'era nato, a cercare di stare meno peggio, se proprio non c'era verso di stare meglio. Riminesi come la settantenne a braccetto col marito, che lo strattona se lo sguardo di lui cade un po' troppo casualmente sul culo della sgallettata che cammina pochi passi davanti a loro. Poi, non importa, se la sgallettata in questione sta sui cinquanta passati da un pezzo e il culo incriminato è chiuso in una cipolla di panni pesanti; è una questione di principio.
Riminesi come quello che vuole fare un po' il patacca pretenziosetto – probabilmente, fa pure apposta - e, passando di fianco a uno stand che vende sardoncini grigliati, dice "Che puzza, vivalamadonna!" e lo sentono in cinque o sei, per cui s'alza un coro di "Oscìa! Senti che profumo!". Riminesi che si danno un gran contegno perchè non vogliono far vedere che sono arrivati giù con la piena del fiume ieri, di fronte a quelli che son arrivati giù con la piena l'altro ieri. O il giorno prima ancora, al massimo. Riminesi come il poliziotto che sente scoppiare un palloncino e vede un bambino che sta per piangere, allora si porta una mano al petto e s'afferra il giaccone, mimando platealmente dei battiti cardiaci accelerati e facendo mezzo salto indietro, con l'espressione spaventata. E il bambino ride, e il palloncino – a pensarci bene – a 'sto punto ha fatto anche bene, a scoppiare. Riminesi come quelli che fan la ragionata e stazionano a piedi su una pista ciclabile troppo civile, per i nostri parametri. Come quelli che "Diomadonna, ve' che mare che c'è oggi!" e poi ci mettono mezz'ora – se poi non glielo devon dire – a accorgersi che non c'è più la ruota panoramica, che l'han smontata.
Rimini, stesa come sempre su un fianco, sulla battigia - col culo a monte e le tettone verso il largo - che c'è un presepe di sabbia ogni mezzo chilometro, una roba che sembra che noi, qui – la sabbia – la troviamo per terra.

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