martedì 23 ottobre 2012

Nel dubbio

Adesso, per esempio, ad avere il moscone che sogno, bianco e azzurro, sarebbe un attimo arrivare alla boa dei duecento metri. Mettere i remi tra forcelle e i galleggianti, cercare con la mano il viscido pezzo di corda sott’acqua (…e se una mano dal mare afferra la mia e mi tira giù?) e legarci il moscone, guardare verso riva. Guardare anche verso il largo, finché non diventa troppa la vertigine dovuta alla presenza di solo mare.
Verso la riva, quella strisciolina sulla quale si affannano tutti quelli che conosco.

Non si conta mai un cazzo, soli in mezzo al mare. E’ un attimo, perdi l’equilibrio, o sbatti, o ti tuffi (tornerò su o qualcosa sta aspettando di afferrarmi?) e il moscone legato male viene irretito dalle onde e ti abbandona.
E allora sticazzi, l’acqua è fredda, i battiti accelerati, nulla conta più. Tengo i vestiti che mi appesantiscono e mi tirano giù o cerco di toglierli con movimenti che mi fanno affondare mezzo metro, forse uno, forse quei dieci centimetri di troppo?
Penserò a qualcosa di epico, di nobilissimo o mi tornerà in mente quando nella stessa situazione ma in due, fumati come delle apparenze, facevamo finta di avere paura che arrivasse un sottomarino della Finanza e che poi quando arrivava, grigio con le strisce gialle -invece- erano i Beatles?
Quando dicevamo al rumore della boa contro il galleggiante “Senti che testate che dà Di Caprio.” E ci si interrogava “Com’è che Di Caprio, morto di freddo ma coi polmoni pieni d’aria, affonda?”

Soli in mezzo al mare, non si conta mai un cazzo. Hai sotto qualcosa di talmente grosso e da rispettare che non puoi scendere a patti, sei di fronte a te stesso.
Poi altri 50 metri, dalla boa. Poi 100. Poi ancora.
Ho il baricentro basso, remo in piedi e non perdo l’equilibrio. Reggo lo sguardo verso il largo sempre più a lungo, posso domare la vertigine ogni volta qualche secondo in più.

Oppure no, d’improvviso vince lei, e devo fare una scelta.
Voltalo, chiudi gli occhi e rema forte, cieco, riguadagna il passaggio tra scogli e torna tra quelli che stanno coi piedi sulla terra più velocemente che puoi.
O arrenditi, stenditi, fatti feto e metti più pelle che puoi sul legno che ti separa dall’acqua, col rischio -che somiglia a un desiderio- di non riuscire più a alzarti.

Nel dubbio, cullami.