domenica 23 gennaio 2011

Berlusconi dice la verità

Mi scuso per l'intermezzo serio.
Se ogni tanto, passando da qui, fate un sorriso e se volete farne ora, andatevene altrove.

Il punto è che Berlusconi dice la verità.
Secondo me la verità che comunichiamo è la descrizione della realtà tramite i fatti che scegliamo per parlarne e della nostra percezione di quei fatti.
Se noi pensiamo ad una verità, possiamo non comunicarla e per noi rimarrà valida senza mutare minimamente.
Se noi diciamo la verità illustriamo con coerenza la nostra percezione dei fatti su cui intendiamo essere veritieri ma, dato che la percezione dei fatti può essere soggettiva, una comune verità è quindi frutto di un accordo tra soggetti che cercano di intendersi e concordare su una visione della realtà che dunque, per loro, costituirà una verità condivisa.
E io temo che Berlusconi stia dicendo la verità. Altri, più o meno strumentalmente, la condividono -ma questo è un altro argomento.
Quando Berlusconi dice di non aver mai pagato nessuna donna perchè lo intrattenesse, ci crede: secondo me, dal suo punto di vista e quindi secondo la sua verità, le ragazze che frequentavano Arcore lo facevano veramente perchè affascinate e desiderose di compiacerlo, divertite dalle sue barzellette, sedotte dal suo carisma.
I passaggi di denaro per Berlusconi non rappresentano il pagamento di una prestazione -e lo dico senza alcuna ironia- ma una donazione a persone che lo ammirano e che lui può omaggiare, ripagato quantomeno dalla sua percezione -un'altra sua verità- di splendere ai loro occhi.
La ripetuta e numerosa presenza di ballerine - nella migliore delle ipotesi - non ancora trentenni in consessi che annoveravano solo lui o lui e un paio di ospiti al massimo, non rappresentano per il settantaquattrenne Berlusconi un'inopportunità, ma uno svago più che lecito anche se a concederselo è un'alta carica istituzionale; questa è per lui un'altra verità.
Il discredito e l'incredulità del mondo di fronte a fatti del genere non sono per Berlusconi motivo per dimettersi o di vergogna, poichè la verità del nostro gli racconta che tali discredito ed incredulità sono marginali e gonfiati -se non inventati- da chi gli è avverso, e comunque non in grado di ledere gli interessi o l'immagine del Paese.

Io non credo che Berlusconi -io non credo che nessuno- possa mentire così bene (se mentisse al Paese, sarebbe gravissimo, ma lui sa di non farlo), io credo che Berlusconi dica la verità.
Per questo siamo veramente nei guai.

martedì 18 gennaio 2011

E dire che era ateo

La notte, studiava da pipistrello
perché ogni giorno era meno bello.

Un mattino guardò il passato
e lo trovò piuttosto perdonato.

Alle nove aveva smesso di fumare,
alle undici aveva smesso di mangiarsi le unghie,
all'una era a dieta e
alle tre aveva trovato lavoro.

Verso l'ora di merenda lo impattò il destino
che quella volta aveva la forma d'un camioncino.

L'autista provò a evitarlo pestando sul freno
ma non ci fu modo e lo prese in pieno.

La carrozzeria s'era accartocciata,
i cristalli erano in frantumi,
il furgo era cappottato e
l'autista lasciava due bambini, una donna e un cane.

Lui invece continuò a camminare come niente, pur senza capire in che maniera
Dio avesse pensato No, adesso voglio vedere cos'altro fa entro stasera.

sabato 8 gennaio 2011

Lo sciopero dei poeti

Il giorno in cui i poeti iniziarono lo sciopero a oltranza, in molti sottovalutarono la cosa.
Mi ricordo che misero giù le penne e incrociarono le braccia, poi scesero nelle piazze e lì scandirono i loro slogan, evitando accuratamente di declamarli in rima. Per loro era difficilissimo non esprimersi poeticamente, facevano una gran fatica.
Durante la loro protesta, poi, i poeti smisero di scendere in piazza e salirono, occupando i tetti e mettendosi tutti lì, a sedere. E giù di nuovo di slogan, di santa ragione.
All'inizio non successe nulla, non sembrava una cosa in grado di bloccare un paese. Dopo tutti quegli Ah-ah che vuoi che ce ne importi, però, le persone iniziarono a lasciarsi andare a manifestazioni di sensibilità fuori luogo, per saturazione emotiva. La gente iniziò a commuoversi in fila alla posta, o mentre guidava, fino ad avere crisi di pianto e richieste di coccole nei consigli di amministrazione di aziende di rilevanza nazionale o nei rami parlamentari.
Sui tetti, intanto, i poeti avevano smesso con gli slogan perché facevano una gran fatica dato che gli uscivano cose poetiche, per cui se ne stavano zitti e seduti sui tetti a guardare l'orizzonte. Dato che era una cosa molto poetica, si erano organizzati a dire ogni tanto qualcosa di spoetizzante, per cui poteva capitare di sentirli urlare roba tipo Cos'ha fatto il Milan? o Mi passi la chiave del 12?.
Un poeta una volta urlò Non è ancora morto il tuo cane?, ma sembrava una cosa quasi poetica, per cui fu colpito da un calamaio vuoto partito da un vicino tetto, anch'esso occupato da poeti. Per cui, si rimase principalmente sul calcio, sul ferramenta o -al limite e con molta cautela- sulle cugine zoccole.
La situazione, nel paese, andò velocemente peggiorando: le persone si scoprirono dipendenti dalla poesia e incapaci di trovare le parole giuste e il loro ritmo nel veicolare sentimenti ed immagini evocative e continuavano a scoppiare in pianti fragorosi nei momenti meno opportuni.
Il primo segnale chiaro fu il crollo del mercato dei cioccolatini. Il cantautorato si paralizzò completamente. Le mamme, disperate, presero ad addormentare i loro bambini leggendogli l'elenco del telefono (Mamma, mammina, stasera mi leggi la R?). I trasporti saltarono, il paese ben presto fu in ginocchio: smise di funzionare anche il servizio di emergenza di raccolta differenziata emotiva e furono abbandonate dagli autisti in lacrime le ecoballe di sensibilità già raccolte, che in poco tempo produssero liquami che diffondevano rimpianti e sospiri in chi ne veniva in contatto.Si temeva entrassero in contatto con le falde acquifere.
Nel nord-est, ventre produttivo del paese, iniziarono a chiudere i primi capannoni.
Lo Stato cercò di correre ai ripari e il Presidente di Tutto impose norme volte a diminuire il rischio di esposizione alla sensibilità attraverso misure draconiane, tipo il coprifuoco durante albe e tramonti o l'espresso divieto di guardare i propri bambini che dormono. Si chiuse in ufficio con i suoi esperti, anche se ogni tanto si poteva sentire qualcuno che, all'interno degli uffici, singhiozzava di brutto.
I poeti continuavano a stare sui tetti mentre giù erano tempi davvero bui: di notte degli individui senza scrupoli iniziarono a spacciare figure retoriche e qualche disperato si rovinava la salute con chiasmi tagliati male, endecasillabi di dubbissima provenienza e litoti prive di negazioni.
Il mercato nero degli enjambement fece affari d'oro.
Molti si riversarono in osterie fuori mano alla ricerca di qualche anziano a cui sfuggisse della poesia dialettale, anche poca, ma la tendenza ormai era quella di cercare qualsiasi cosa potesse dare sollievo, poesia tagliata male, rime banali, che possono uccidere tipo cuore / amore o Che fine hai fatto / ti sei sistemato / che prezzo hai pagato / che effetto ti fa / vivi ancora in provincia / ci pensi ogni tanto alle rane?// L'ultima volta ti ho visto cambiato / bevevi un amaro al bancone del bar / perchè il tempo ci sfugge / ma il segno del tempo rimane.
Intanto i poeti, sui tetti, continuavano a star lì a sedere e a dire ogni tanto cose spoetizzanti, finché uno di loro obiettò Noi ci viviamo, poeticamente. L'unica soluzione mi sembra essere che dobbiam morire. e propose che si buttassero tutti giù senza avvisare nè dir niente a nessuno. Gli altri poeti lo ascoltarono e uno commentò E' triste e bellissimo, al che tutti insorsero dicendo No, ma infatti, è troppo poetico, dovremmo lasciar perdere di morire. L'empasse si risolse con la geniale trovata di un poeta che riuscì a trovare una maniera per spoetizzare l'estremo collettivo atto proponendo Buttiamoci giù, ma in mutande. e tutti si dissero d'accordo.
Il paese era al collasso e ignaro dell'intenzione dei poeti, quando si spalancarono le porte degli uffici governativi e con gran clamore di sirene e stridore di gomme il Presidente di Tutto partì con il suo corteo di auto. I poeti iniziavano già a slacciare le cinture e calare le cerniere che il Presidente di Tutto si fece dare un megafono e, da sotto i palazzi sui cui tetti s'erano seduti i poeti, disse "Venite giù, facciamo che avete ragione voi e che vi concediamo tutto."