martedì 23 dicembre 2014

Non lo so se me lo merito, comunque grazie.

Allora viene fuori che a Natale lavoro, son lì dal primo pomeriggio, quindi salto il pranzo coi parenti. Mi dispiace, perchè noi - in famiglia - è anche un po' di anni che siamo lo stesso numero, anche qualcuno in più, e in famiglia sono anni belli quelli in cui il numero cresce invece che diminuire. La matematica familiare natalizia è piuttosto importante, in quanto correlata al numero dei sospiri che fai durante tutto l'anno.
Però, non potendo esserci e essendo relativamente sano, cerco di superare il dispiacere focalizzandomi sulle cose negative di questi pranzi o cene, cose che spesso mi vedono almeno almeno co - protagonista, dato che è a quelli più vicini a noi che si rischia, purtroppo, di fare più male.
Insomma, penso Dài, quest'anno non mi dovrò sorbire 'Sei andato a messa? Come, no?! Ma che valori gli dai, a quei bambini?!', e poi non rischierò di offendere nessuno criticando chi ha votato o non ha votato o lanciandomi nelle mie analisi socio - economiche intergenerazionali, che risultano un po' troppo tranchant. E poi nessuno alzerà la voce e così non abbasserò millimetricamente le sopracciglia indossando l'espressione di mio padre quando disapprova qualcosa. E non farò nessuna delle mie uscitone contro la CEI o Bertone o tutto il baraccone, non parlerò troppo. E poi son lento a mangiare, mi devono sempre aspettare, e quindi delle volte - quando iniziano a parlare di dolci e io sto appena per approcciare il secondo - mi metto lì a culo dritto come quelle dive che, in camerino, trovano un bottiglia di acqua himalayana in meno o a una temperatura diversa da quanto pattuito.
Allora prendo il telefono e avviso, Guardate, grazie ma devo andare a lavorare, primissimo pomeriggio devo essere già lì, io vengo a fare un saluto e gli auguri alla solita ora, ma poi parto subito. Magari due cappelletti faccio in tempo a mangiarli, però poi - eh, il lavoro è lavoro - devo scappare.
La voce dall'altra parte del telefono, subito, dice Allora avviso tutti. Quest'anno, tutti a tavola a mezzogiorno in punto.

Seguono domande e rassicurazioni, che non sia troppo disagio fare mangiare tutti così presto rispetto al solito, qualche convenevole e i saluti.
Poi riattacco, e piango un po', di gratitudine.

venerdì 21 novembre 2014

Gaspare, Melchiorre e un mio vicino di casa

Noi, per me, abbiamo tipo una valvola. Quando ci si ammucchia dentro un tot di roba composta in variabile misura da sentimenti, esperienze e predisposizioni, la valvola fa il suo lavoro e sfoga. E ognuno ha una capienza diversa e un modo diverso di fare funzionare la sua valvola. Chi si butta sulla poesia, chi sulle robe da ridere, chi va a correre, chi pedala, chi canta, chi suona, al limite ti puoi anche mettere a imbiancare salotti.
C'è anche chi si spaventa e la lascia ossidare, e alla lunga son guai.
Dove sto io, la valvola di noialtri parte spesso quando hai i piedi nella sabbia e sei andato a fare una prova di morte in senso positivo. Tutti quelli che si mettono lì, la fanno, anche solo per una frazione di secondo. Andiamo incontro alla nostra personale sintesi di senso, come a voltarsi quando stai per morire, a pensare se sei stato una buona persona, se valeva la pena. Hai questa roba enorme davanti, le onde ti costringono a rallentare la percezione e senti che ti parte la valvola.
Certi si spaventano e, per stare lì, devono sempre avere qualcosa da fare.
Altri invece vanno proprio lì per cercare la fortuna di essere la coscia di gallina del loro brodo emozionale.
Insomma, tornavo da una di queste prove di morte in senso positivo e mi ha fermato un conoscente.

"Ah, sei te! Ti volevo dire una roba, te l'ha già detta tuo zio?"
"...no, non lo so, almeno."
"Perchè l'ho detta anche a lui e poi io e te ci salutiamo sempre e te sei istruito e te la volevo dire. Ho visto la cometa."
"Come?"
"La cometa. Non quella di cui parlano tutti, adesso, quella di Natale, proprio. Ho pensato 'Guarda che bello, si fa vedere anche da un patacca come me, da uno che non ha studiato'. E era bellissima, in mezzo al cielo, e mi sono sentito bene e te lo volevo dire."

Ho detto qualcosa che mischiava ringraziamenti, che le stelle per fortuna son di tutti, che le comete fanno un'orbita ellittica ma che non me ne intendo e che dovrei chiedere a mia moglie e che ero contento per lui, poi mi son congedato. Neanche tanto stranito, ché qui dei discorsi così si sentono. Mi son detto "Boh, chissà dov'è quella cometa, chissà cos'avrà visto. Forse un aereo, forse ha le macchie sulla retina, forse ha bevuto un bicchiere di vino in più a cena."

Poi, la notte, stavo sul terrazzo a fumare e a soppesare i pro e i contro di essere me, tutto distratto, e - per un attimo, con la coda dell'occhio - non lo so.
Sembrava proprio una cometa, però.

venerdì 10 ottobre 2014

La poesia è pericolosa.

Autobus,
esterno giorno,
ma interno autobus.

A terra,
in fondo, una rosa
bianca, intònsa, al centro.

Nessuno
la guarda, o la pesta:
non guardata, pur è vista.

Tale è
la portata poetica,
narrativa, metaforica

che a momenti
mi cago addosso.

martedì 30 settembre 2014

Sessantadue.

La mia boa dei 500 metri si chiama Sessantadue, perchè sopra c'è scritto "62", e abita un po' dopo gli scogli. Tu arrivi alla Sessantadue - magari, saluti - e lei sta zitta. Non è che è scortese: è il suo modo di fare. Se hai piacere, ti ormeggi alla Sessantadue, però circospetto, chè non si potrebbe. Ti guardi intorno per decidere e tutto è a posto, nel tuo regno: lato culo c'è la costa, di fronte si va al largo, a sinistra tutta costa con un grattacielo laggiù laggiù e a destra, lontano, tutta costa e un ruotone panoramico.
Quindi, decidi: si torna indietro, che si sta ingrossando o il vento rinforza troppo, o si parte e si arriva dove le braccia e i coglioni permettono.
Di coglioni, se ne deve usare il giusto: abbastanza da uscire e affrontare una cosa che rispetto a te è enorme, potentissima e immortale ma non troppi coglioni da diventare tutto un enorme coglione e sottovalutare una cosa che rispetto a te è enorme, potentissima e immortale.
Sessantadue ti saluta mentre parti e ti accoglie mentre torni.

Sessantadue va in letargo, in inverno. La tirano su e la mettono a dormire nel campo delle bocce.

Ieri l'ho vista lì ferma, stesa su un fianco.
"Non è la stessa cosa, là fuori, senza di te, sai?", volevo dirle.

Poi - com'è, come non è - son stato zitto, non l'ho svegliata.
Che è tutta l'estate, che balla.

domenica 31 agosto 2014

'sta stordita.

Come sarebbe, che non m'ami più?! M'amavi?!
A saperlo, un cincinino - forse - t'avrei riamata.
E che cazzo, dille le robe, però!

venerdì 11 luglio 2014

Noi ci amiamo da far schifo.

Noi ci amiamo da far schifo. Ci finiamo le frasi a vicenda, e l'altro non si incazza perchè non è prevaricazione ma profonda comprensione. Anzi, ne è fiero!, l'allocco. Ci parliamo forte perchè sono anni che ci amiamo da far schifo, eppure ci sembra strano che una persona così bella ci sia così vicina, e così urliamo anche a mezzo metro, e siamo contenti; la gente - si sa - la gente "Litigano", dice, poi si rende conto anche la gente e dice "Non litigano. Solo, si aman da far schifo".
Siamo anche andati da dottori, "Dev'essere simbiotico, dev'esser dipendenza! Ci salvi lei, che non stiam bene, a quanto pare" ma i dottori - misura e scruta, analizza e ascolta, si sono arresi a dire "Ci rincresce ma state bene, tutti e due parecchio in piano: solo è che vi amate, vi amate da far schifo".
Non c'è mezzo di avere una crisi matrimoniale, di variare un po' il finale, di far sempre casualmente tardi in palestra, di stancarsi della solita minestra: è una cosa che non ci sono periodi di serenità intervallati, viaggiam sempre felici. Felici da far schifo.
Beati voi, con gli alti e bassi, le dimenticanze e i ripassi: a noi tocca invece star qua, felici, amati e corrisposti.
Perchè ci amiamo, ci amiamo da far schifo.

domenica 29 giugno 2014

Fratelli.

Babbo,
quello rosso non lo mangiare.
E' l'orsetto gommoso perfetto:
prima, voglio farlo vedere a Lui.

Babbo,
delle volte lo menerei. Spesso.
Dei pugni in testa, proprio.
"Ah, ma c'hai il gesso! Che stiiile!"

"Ti imbocco?"

mercoledì 4 giugno 2014

A perdita d'occhio.

Mi sono perso. E' proprio campagna, non è neanche una zona industriale. Case rade e basse, qualcuna con l'intonaco nuovo ma gli infissi in alluminio a tradire la loro data nascita, qualcuna riadattata a villetta ma senza cancellata. I cani mi corrono di fianco alla macchina finchè recinti o lunghissime catene collegate a fili sospesi glielo consentono.
Sembra impossibile che a qualche via da qui venga al mare mezza Europa, si parlino tutte quelle lingue, ci siano indigeni colmi di spirito guascone e festaiolo. Che si trombi, al limite., penso.
E' ora di cena, non c'è nessuno in giro.
Poi lo vedo, che manovra con una zappa o un rastrello - vedo solo il manico di legno - nel campo di fianco a una casa. Ha i capelli bianchi, la faccia ubriaca di sole e ottant'anni o giù di lì.
- Mi scusi! - esordisco.
Fa segno che non sente. Mi squadra un attimo e poi si avvicina.
- Mi scusi - ripeto - questa è via Apollonia?
- No. Te chi cerchi?
- Un mosconaro, abita in via Apollonia.
- ...un?
- Uno bravo con le barche, uno che ripara gli scafi, cose così...
- No. - dice, appoggiando il gomito al manico di legno. Poi, con l'altro braccio, descrive un semicerchio fino a portare la mano aperta più in alto della sua testa, palmo verso l'alto, a indicare tutta la via - Qui, tutti musicisti.

sabato 10 maggio 2014

Un giorno.

Hai visto Mozzicone? Mozzicone, gli puoi offrire tutte le sigarette che hai, però lui continuerà sempre a raccogliere le cicche dalle aiuole. Ha anche pisciato dietro il siepone del parchetto, oggi, ma cosa gli vuoi dire? Delle volte, quando legge il giornale dove ha preso qualcosa gratis, al bar, sta così attaccato che sembra sia svenuto.
Non è in piano per niente, Mozzicone.
Comunque non gli ho detto niente, che non se ne è accorto quasi nessuno. Anzi! Il Piccolo dice che il suo amico col nome russo gli ha insegnato un nuovo modo di andare in altalena, e così la aggroviglia tutta, ci si stende e gira finchè non va via tutto storto e invornito.
Anche Sempreverde barcolla. Sempreverde dura poco, non c'è verso che smetta di bere. Ti ricordi quando era così ubriaco che si è messo in mezzo alla strada e ha fermato quella colonna di pullman di quelli di Rinnovamento dello Spirito, e non c'era modo di farlo spostare? Pareva la versione alcolizzata del cinese coi carrarmati, in piazza Tienanmen. Ha anche spostato un tergicristallo, per fare meglio "ciao ciao" con la mano all'autista, ti ricordi?
Il Grande inizia a guardare le ragazzine in modo diverso. Patirà parecchio, e nessuno ci può fare niente, ma questa cosa gli darà anche parecchie soddisfazioni. Ci siamo passati tutti, ce la farà anche lui, che è già meglio della maggior parte di noi.
Il Vespista si è fermato e mi ha parlato di Maui, che lui ci è andato e un po' ci è rimasto, anche se è dovuto tornare.
Dice il Barbiere che è tornato il caldo, quindi mi ha avvisato che considera riaperta la stagione delle nostre battaglie con gli spruzzini, anche se è appena uscito dall'influenza. Quei ragazzi, insomma, mi sembra che se la cavino, tra tutti. In generale, c'è gente che sta morendo ma rassicura tutti che non è poi un gran problema, poi ho sentito uno che sta perdendo il lavoro che consolava quelli preoccupati per lui, che poi si vede che ha un po' paura, però fa finta di no.
Adesso, le nuvole han preso del rosa, devo andare. Andiamo avanti così, mettiamo un piede davanti all'altro con la tristezza in fondo a ogni risata, però i giorni in cui il peso della mediocrità si fa sentire un po' troppo, c'è sempre qualcuno che ti chiama per nome e, delle volte, ti offre un caffè.
Te, mi dispiace che sei già morto, però volevo dirti come butta qui, e che è passato un altro giorno.

sabato 12 aprile 2014

Vado a Milano.

Vado a Milano. Io, tutte le volte che vado a Milano - che, finora, non son mica tante - mi ricordo che Milano era un viaggione, fino a pochi decenni fa, che al massimo la andavi a vedere in viaggio di nozze. Ma se proprio eri uno a cui piacevano le destinazioni esotiche, se no - normalmente - arrivavi tipo fino a Faenza, Ravenna, Bologna - al massimo - se volevi fare lo sborone.
Milano, noi di mare abbiamo iniziato a andarci verso la fine degli anni '50, primi '60, perchè da noi stava partendo il turismo grosso e a Milano c'era la Fiera Campionaria delle Attrezzature Alberghiere.
Poi sui giornaloni di Milano uscivano questi articoli un po' scherzosi, che raccontavano della città invasa da questa umanità un po' particolare, un po' agreste.
Me ne ricordo uno, che ha portato a casa mio zio una volta, un articolo che raccontava con quel tono di scherno bonario dei forestieri che avevano raggiunto la Fiera Campionaria delle Attrezzature Alberghiere.
C'era anche una foto in bianco e nero, che diventava quasi seppiata, su quella carta: ritraeva un signore sorridente e tondotto, seduto su un muretto - con le gambe stese - le scarpe appoggiate lì di fianco, vicino a un paio di bicchieri di vino. In mano, tipo una coscia di pollo.
Una donna riccioluta, seduta a fianco a lui, gli stava porgendo dei tegami e rideva.
Ecco, quelli lì nella foto, erano i miei nonni.

giovedì 3 aprile 2014

Stasera faremo l'apericena nell'Ade!

Il carro di Apollo aveva quasi già compiuto metà del suo giro quotidiano, quando Caronda di Alicarnasso arrivò di corsa e chiese l'attenzione del generale Zeuleco. Questi stava sognando la natìa Attica e - contestualmente - cercava di liberarsi della polvere che, unita al sole che frustava quel torrido altopiano, spaccava le dita dei piedi.
Ne uccidevan di più le infezioni delle spade, all'epoca.
Caronda si fermò e posò i palmi sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato.
"Che c'è, mia valente vedetta?" - chiese Zeuleco.
Caronda di Alicarnasso sentì il sapore salato della goccia di sudore che si era fatta strada tra tempia ed elmo e si limitò a indicare verso l'orizzonte. Il generale Zeuleco terminò di allacciarsi i sandali, si alzò aggiustando il mantello e scrutò nella direzione indicata.
"Dei del Cielo!" - pensò.
Come onde che si increspano al largo, lampi di luce balenavano sempre più fitti. Sole che si rifletteva su elmi e spade, senza dubbio. Nubi di polvere ancora quasi indistinguibili dal panorama. Alzati da carri da guerra e addetti al trasporto delle masserizie, diceva al generale la sua stessa esperienza.

"Riunite tutti, subito." - ordinò Zeuleco, calzando l'elmo da generale e raccogliendo lo scudo.

"FIGLI MIEI! - urlò il generale alle sue truppe riunite - SIAMO CHIAMATI, ANCORA UNA VOLTA...", quindi si interruppe. "Scusate la richiesta, piuttosto irrituale - proseguì - ma qualcuno ha idea di chi siano questi qui che stanno arrivando di gran carriera, armati fino ai denti?"
"...Persiani?" - disse una voce persa tra le truppe, dopo qualche attimo.
"Naaa. Vedi addominali scolpiti, tra le nostre truppe? Hai recentemente calciato qualcuno in fondo a un pozzo?" - rispose un'altra voce.
"...Ittiti?" - si teorizzò.
"Mh, penso di no. Gli Ittiti non attaccano mai all'ora dell'aperitivo pre-pranzo. E' così che hanno perso l'uso delle altre vocali." - disse, tra le fila, una voce.
"...Assiri?" - ipotizzò qualcuno.
"Naaa. Gli Assiri non si muovono se non hanno con sè i Babilonesi. E i Babilonesi ci mettono un sacco, a scendere dai giardini pensili. Attaccano verso sera fisso, non c'è mezzo di iniziare una battaglia a un'ora decente, con gli Assiro - Babilonesi..." rispose qualcun altro.

Il generale Zeuleco ristette qualche attimo, quindi parve come illuminato da una nuova e terribile consapevolezza.
"Ragazzi - disse - adesso ditemi la verità, prometto che non mi incazzo. Non è che qualcuno ha scritto qualcosa su internet contro Beppe Grillo?!"

giovedì 27 febbraio 2014

Mephisto, abbiamo un problema.

Quando le maestranze devono bussare alla porta della dirigenza, c'è sempre un attimo di imbarazzo. Così Arupantar, diavolo di rango inferiore, si concesse il tempo di fare un profondo respiro, smise di arricciarsi nervosamente la coda e si specchiò in una pozzanghera di lava, a controllare che le corna splendessero, come da codice di condotta aziendale infernale.
Appoggiò il forcone di fianco al portale nero e bussò.

"Un attimo, che mi rimetto le mutande - si sentì tuonare dall'interno - Ecco, avanti."

"Mephisto, abbiamo un problema."
"...del tipo?" - chiese l'enorme caprone cornuto che sedeva alla scrivania dirigenziale.
"Nel mio reparto, tecnicamente va tutto bene: supplizi infiniti alle anime dannate, torture indicibili e cazzi mazzi vari, però c'ho giù quest'anima che mi guasta tutta la poesia dell'Eterna Sofferenza..."
"Perché, mio buon (senza offesa) Arupantar?"
"Urla."
"...e allora? E' quello che deve fare qui, che fanno tutti, urlare e disperarsi."
"Il problema è che lei urla e gli altri dannati stanno subito meglio. Poco, ma meglio."
"Dannazione. E di chi è, l'anima urlatrice, come si chiamava quand'era ancora nella Valle di Lacrime?"
"Janis Joplin."
"Capisco. Mi faccia fare una telefonata, si accomodi fuori."

Seduto fuori, il diavolo di rango inferiore Arupantar vide tremare per qualche secondo le fondamenta stesse dell'Inferno.

"Arupantar! Venga, si accomodi."
"Eccomi!"
"Bene. Cioè, volevo dire, 'meno male', ecco. Insomma, ci siamo capiti. Allora, ho telefonato a Dio."
"Quel Dio?!"
"Ne conosce altri?"
"Sì, almeno una cinquantina. Tipo Shiva, il Dio Denaro, il Dio delle Città dei Pooh, Anubi..."
"Ho capito - interruppe Mephisto - Del resto, lei lavora qui, è giusto. Comunque, quel Dio, sì, quello col vestaglione, sandali, barba e il triangolone sulla testa."
"Ah. E allora?"
"Allora, m'ha detto che ha un problema speculare al nostro."
"...tipo?"
"C'ha su l'anima di Madre Teresa di Calcutta che discetta continuamente ed eternamente di morale e santità con l'anima di Giovanni XXIII, o con quelle di Gandhi o Mandela..."
"Due coglioni!" sbottò Arupantar, diavolo di rango inferiore.
"Appunto. Roba da fare venire l'orchite anche agli amanti dei film francesi. Le anime di fianco a loro, sono meno eternamente felici, quindi. Quindi..."
"Quindi?"
"Quindi il Gran Vestaglione ed io abbiamo deciso che, dopo migliaia di anni, urge un restyling del brand."
"Che, detto in maniera meno infernale, significa?"
"D'ora in poi il Paradiso si chiamerà 'Paraderno' e l'Inferno, qui, si chiamerà 'Infradiso'."
"Ecco perché son tremate le fondamenta. Bello, 'Infradiso'!, ricorda 'Infradito'."
"Sì, e non è un caso: abbiamo piedi caprini, noi, qui."
"Diabolico! Posso andare?"
"Sì. Ah! Arupantar, un'ultima cosa..."
"Mi dica."
"A questo punto, dia un microfono all'anima di Janis Joplin. Già che ci siamo, trovate una batteria all'anima di John Bonham, un basso a quella di John Entwistle e un paio di chitarre alle anime di Hendrix e Cobain. E chiedete alle anime di Morrison e Lennon se hanno voglia di fare le coriste."

Arupantar, diavolo di rango inferiore, tacque qualche secondo.
Poi, "Bella storia, capo." - disse, e se ne andò.

lunedì 13 gennaio 2014

Margherita

Margherita che nasce,
che piange, che poppa, che poi trova pace

Margherita testa grossa,
 arti corti, parte in cammino verso la fossa

Margherita che legge,
che scrive, che affronta il rosso di chi corregge

Margherita ascolta,
il petto fa male, la stessa canzone ancora una volta

Margherita che suona,
che urla e protesta, Margherita - dicono - è assai bòna

Margherita viaggia,
cerca un posto nel mondo, poi lo trova su una spiaggia

Margherita che figlia,
"Ti ricordi di Margherita? Sai, ha messo su famiglia."

Margherita tiene botta,
che capisce che è quella quotidiana, la vera lotta

Margherita che scusa,
che sbaglia e perdona, che spesso fa anche l'uomo di casa

Margherita, son tanti,
tra vecchi, figli, nipoti, bestie e anche un paio di amanti

Margherita paziente,
i figli ai nipoti "nonna non sembra mia mamma per niente"

Margherita che cura,
"Già hai insegnato a vivere: insegnargli a morire, non c'è premura."

Margherita la paziente,
vuole un velo di trucco, che "mi vede, la gente"

Margherita che muore,
i figli coi nasi premuti al cuscino, aver memoria del suo odore

Margherita è finita,
"come una pizza saporita" dice la piccola di casa, riportandola un po' in vita.