mercoledì 12 dicembre 2012

lunedì 12 novembre 2012

martedì 23 ottobre 2012

Nel dubbio

Adesso, per esempio, ad avere il moscone che sogno, bianco e azzurro, sarebbe un attimo arrivare alla boa dei duecento metri. Mettere i remi tra forcelle e i galleggianti, cercare con la mano il viscido pezzo di corda sott’acqua (…e se una mano dal mare afferra la mia e mi tira giù?) e legarci il moscone, guardare verso riva. Guardare anche verso il largo, finché non diventa troppa la vertigine dovuta alla presenza di solo mare.
Verso la riva, quella strisciolina sulla quale si affannano tutti quelli che conosco.

Non si conta mai un cazzo, soli in mezzo al mare. E’ un attimo, perdi l’equilibrio, o sbatti, o ti tuffi (tornerò su o qualcosa sta aspettando di afferrarmi?) e il moscone legato male viene irretito dalle onde e ti abbandona.
E allora sticazzi, l’acqua è fredda, i battiti accelerati, nulla conta più. Tengo i vestiti che mi appesantiscono e mi tirano giù o cerco di toglierli con movimenti che mi fanno affondare mezzo metro, forse uno, forse quei dieci centimetri di troppo?
Penserò a qualcosa di epico, di nobilissimo o mi tornerà in mente quando nella stessa situazione ma in due, fumati come delle apparenze, facevamo finta di avere paura che arrivasse un sottomarino della Finanza e che poi quando arrivava, grigio con le strisce gialle -invece- erano i Beatles?
Quando dicevamo al rumore della boa contro il galleggiante “Senti che testate che dà Di Caprio.” E ci si interrogava “Com’è che Di Caprio, morto di freddo ma coi polmoni pieni d’aria, affonda?”

Soli in mezzo al mare, non si conta mai un cazzo. Hai sotto qualcosa di talmente grosso e da rispettare che non puoi scendere a patti, sei di fronte a te stesso.
Poi altri 50 metri, dalla boa. Poi 100. Poi ancora.
Ho il baricentro basso, remo in piedi e non perdo l’equilibrio. Reggo lo sguardo verso il largo sempre più a lungo, posso domare la vertigine ogni volta qualche secondo in più.

Oppure no, d’improvviso vince lei, e devo fare una scelta.
Voltalo, chiudi gli occhi e rema forte, cieco, riguadagna il passaggio tra scogli e torna tra quelli che stanno coi piedi sulla terra più velocemente che puoi.
O arrenditi, stenditi, fatti feto e metti più pelle che puoi sul legno che ti separa dall’acqua, col rischio -che somiglia a un desiderio- di non riuscire più a alzarti.

Nel dubbio, cullami.

mercoledì 13 giugno 2012

mercoledì 16 maggio 2012

Lilla

Mio fratello si sposa. Delle volte lo fanno, i fratelli e beh, questa volta tocca al mio. Io sono andato a comprarmi un vestito. Lì al negozio ho incontrato per caso i miei nel senso di genitori mentre ero premeditatamente coi miei nel senso di moglie e figlio grande e abbiamo deciso che mio padre mi avrebbe accompagnato a casa mentre mia moglie, con mia madre e mio figlio (certo che ci sono un sacco di aggettivi possessivi, qui) avrebbero continuato a cercare vestiti. Il mio è di lino blu scuro. Allora ho osato la camicia violetta, per spezzare. "Che col grigio, son capaci tutti." pensavo mentre ero seduto in macchina di fianco a mio padre. La cravatta poi è un capolavoro di abbinamento, la cravatta ha note blu come il vestito e bande trasversali composte da sottili righe azzurre. Come sfondo, la cravatta
"Scusa un attimo -dice mio padre- lì, quel campo, è pieno di bombe. Ci stavano i nonni durante la guerra, in quella casa là. Hanno bombardato un sacco e molte bombe son cadute sulla terra già smossa e non son scoppiate. Una volta la nonna stava tornando a piedi con lo zio in braccio, era andata a prendere il latte dai vicini, son passati gli aerei e si è trovata con in un braccio lo zio che piangeva perché una scheggia di proiettile l'aveva preso di striscio e con l'altra mano stringeva il collo della bottiglia di latte rotta. Erano passati i caccia bombardando e sparando e lei e lo zio si erano trovati esattamente in mezzo a una sventagliata, senza venire colpiti dai proiettili."

Lilla. Come sfondo, la cravatta è lilla.

mercoledì 9 maggio 2012

Disturbo dissociativo di diecimila identità

Alle elementari, mi ricordo che ero pettinato con la riga e i capelli stirati anche se di mio sono parecchio ricciolino, avevo gli occhiali e mi chiamavano "Il dottorino", perché stavo combinato così ed ero il primo della classe, come da mandato genitoriale.
Mi stavo sul cazzo da solo.
Come libertà, mi sfogavo nei temi.
Poi la mia maestra ha convocato mia madre e le ha chiesto se per favore potevo fare qualche testo libero o componimento più serio e/o canonico.
Di lì, un fiorire di "il mio compagno di banco è simpatico e veste sportivo..." e "la mia mamma è magra e sempre elegante...".
Delle medie non ricordo nulla perché ho una psiche piuttosto funzionale, ma scrivevo quello che si aspettavano e gli andava bene.
Al liceo, qualsiasi cosa scrivessi passava in secondo piano perché portavo la camicia fuori e guardavo fisso fuori dalla finestra. In effetti, quando mi distraevo dal portare la camicia fuori e guardare fisso fuori dalla finestra, iniziavo a fare un casino che non agevolava né la tranquillità della classe né la didattica. La didattica, quella troia.
All'università, non si scriveva, si leggeva.
Mi son stagliato sul panorama letterario di internet qualche anno fa, partendo con lo scegliere, a mo’ di dichiarazione di intenti sulla mia intera produzione, un nick quasi illeggibile.
Adesso, m'han detto tipo "Vuoi scrivere qui, con questi qui?" e io ho detto "Orca boia!" e allora ecco, oh miei 5 lettori!, mi ci trovate assieme a Azael, Coqbaroque, Demerzelev, Giggi, Lowerome, Mix, Spaam, Waxen e Woland, in una rubrica che si chiama I monologhi della Latrina, che mi sembrava un titolo elegante.

Il posto si chiama Diecimila.me.

Vi prego, qualcuno lo faccia sapere alla mia maestra delle elementari.

giovedì 26 aprile 2012

Va là, tugnino

Allora, ieri era il 25 Aprile anche a Rimini, dove abbiamo una piazza che si chiama Piazza Tre Martiri.
L'anno scorso avevo avuto la botta di culo di partecipare un pochino a scrivere questo libro, e ieri  un contrabbassista , in occasione di questo e con dietro delle ragazze che poi avrebbero cantato, ha preso un microfono e ha letto quello che ho scritto l'anno scorso, non lontano dalla piazza che abbiamo noi a Rimini, quella che si chiama Piazza Tre Martiri.
Quando il contrabbassista è partito a leggere e mi son reso conto, in una frazione di secondo m'è partito un caldo dentro che s'è spalmato contro le mie pareti interne e mi sono sentito come spostato di mezzo metro indietro.
Devo anche aver spalancato gli occhi, mi sa che non ero un bello spettacolo, da vedere.
Il pezzo era questo qui


Va là, tugnino
 
Va là, tugnino. Te non ce l’hai, questa fortuna.
Te, ti tocca morire lontano da casa, che tra un po’ arrivano gli americani. Oppure ti va peggio e ti tocca vivere e ricordarti cosa ci hai fatto.
Tugnino, ma te, lo senti quest’odore? Questo è il mio mare, non è il tuo. E’ il motivo per cui sono scappato da quel treno su cui mi avevi caricato quando m’avete preso la prima volta e son comunque tornato qui a battermi; è la salsedine che a noi, qui, ci scorre nel sangue.
Non ce l’hai questa fortuna, te, tugnino.
Te per mettere i piedi nel mio mare ti devi togliere gli scarponi e per fare il bagno ti tocca appoggiare il fucile, io quelle onde le ho assaggiate che ero bambino e come ora c’erano dei gabbiani che cantavano di gioia perché li teneva su il vento.
Te li senti, tugnino? Ce la fai, a staccare le orecchie dagli ordini che ti urlano e dai rumori che ti sembrano minacciosi o non ce l’hai, ‘sta fortuna?
Io quando ho dato dei baci avevo i piedi nella sabbia ed era agosto, come ora.
Quindi appendimi in alto in alto, tugnino, che voglio arrivare a vedere il mio mare anche dalla piazza. La sabbia e il mare si mangiano anche le corazze dei granchi, e le fanno diventare sabbia e mare; succederà così anche a me.
Va là, tugnino. Te non ce l’hai, questa fortuna.





“Tugnino”, in romagnolo “tugnìn”, significa “tedesco”.

Così –il 16 agosto- morì Luigi, che era stato catturato dai nazifascisti, assieme a Mario e Adelio. Imprigionati e torturati, non rivelarono i nomi dei loro compagni. L'impalcatura della forca era ancora lì quando –il 21 settembre- la città fu liberata.
L’esecuzione dei tre partigiani fu annunciata da un manifesto firmato dal capo del fascio. Qualcuno, tempo dopo, scrisse “Tutta l'acqua passata sotto il ponte di Tiberio non basterà a lavare l'infamia.

sabato 14 aprile 2012

La Polena

Per essere un capitano, è ancora giovane, ha sete fresca di cicatrici e tesori, ma ne ha visti parecchi, di abbordaggi.
Gli altri si dividono in quelli che raccontano quanto sono cattivi, mostrando la palla di vetro che hanno sotto la benda o la gamba di sedia che hanno dal ginocchio in giù, e quelli che stanno zitti e lo vedi anche solo da come si arrotolano le maniche o camminano sul ponte, che sono cattivi.
L'acqua salmastra portata dal vento schiaffeggia tutti, democratica.
Chi ha un ferro nella pancia o un proiettile col suo nome scritto sopra già al prossimo assalto, chi verrà impiccato, chi finirà in acqua per le allucinazioni da febbre, chi avrà la fortuna di avere un pubblico sotto la forca e anche quelli che a un certo punto smetteranno di sentirsi chiamati dalle sirene e apriranno un bordello in qualche porto.
La polena è come sempre l'unica donna.
Fa quello che deve fare, guarda il mare e rompe le onde, procace.
E anche di più.
Noi non ce lo diciamo, ma ce lo vediamo negli occhi, ogni volta in quelli di chi ha fatto il turno di notte. La polena le onde le sa a memoria, e allora s'annoia e guarda il mare dentro, quello che ha sotto e quello che ha dentro chi è al timone.
E la sentiamo, di notte, come un sussurro tra le onde, un sibilo tra i rumori del legno, parole in mezzo al flautare dei bordi delle vele che scodano.
Noi non ne parliamo, non lo sappiamo se parla così tanto a tutti, noi siamo cattivi e non abbiamo paure.

"Forse hai davvero sbagliato di qualche grado. Forse ho davvero di fronte degli scogli."

"Prima o poi se ne accorgeranno, di come li guardi il mozzo mentre si lava."

"Giurerei che quella botte in cui ho sbattuto veniva da un galeone della marina militare spagnola."

"Posso vederlo anche ora che è notte. Stai pisciando sangue."

"Qui sotto ce ne sono 27, come te. I loro corpi sono ancora nello scafo poggiato sul fondo."

"Siamo in mare da tre mesi. No, lei non ti aspetterà."

La polena, ogni tanto, ride di noi con la luna.
La polena è l'unica donna, non sta mai zitta.

mercoledì 21 marzo 2012

Grézia ad tòt (Grazie di tutto)

"... e' mér... d'aquasò l'è sultènt una róiga lónga e bló."

"...il mare... da quassù è soltanto una riga lunga e blu." 
 (Tonino Guerra)


Quand cl'ho savù, cl'è mort,
am steva magnènd e spezatoin
c'u m'ha fat la mi ma.
Da par me, parché e mircli a mezdé
la mi moi e i burdél li gn'é.
"Vigliaca, sl'è saléd" a ho pansé.
Pò, am so incort ch'a pianziva te piat.

Quando l'ho saputo, che è morto,
mi stavo mangiando lo spezzatino
che mi ha fatto mia mamma.
Da solo, perché il mercoledì a pranzo
mia moglie e i bambini non ci sono.
"Osta, quant'è salato" ho pensato.
Poi, mi sono accorto che piangevo nel piatto.

domenica 4 marzo 2012

Ti voglio spudorata

Io lavoro e al piano sopra c'è questa signora che ha quasi cent'anni.
Le si blocca la caldaia, viene giù e telefoniamo assieme a chi si deve.
Deve cambiare una lampadina, vado su, piglio la scala e la cambio.
Mi dice Cosa ti devo? e io Ma si figuri e dice Ci hai messo del tempo
Hai chiuso il negozio e io Non si preoccupi, poi mi manda
gli auguri di Natale con una scrittura che capisco a Febbraio e
dopo aver chiesto anche al barbiere, secondo lui, da chi provengono.
Ogni tanto viene giù ma da lontano non mi saluta,
poi mi riconosce e allora sì.
Ieri con dei clienti che la conoscono scherzavo sulla sua longevità.
"Uno, a quell'età, di cosa muore? Muore di pudore, muore."
questa me la gioco sempre, sdrammatizza e funziona, e
qui in paese ultimamente è morta gente giovane.
Ieri sera quand'ho chiuso c'eran delle luci blu che lampeggiavano,
oggi anche casa sua è chiusa.
Se potesse essere spudorata un altro po', sarei contento, volevo dire.

giovedì 23 febbraio 2012

Salvate il soldato Landmesser

Voi, con cosa pensavate di giocare?
Perché è la mia vita e altre vite come la mia, che avete distrutto.
Voi, non so, ma io era l'unica vita che avevo.
E la volevo passare con Lei, che avete mandato a morire.
Avete ancora una famiglia?
Io ho due bambine, ma non lo so dove sono e come stanno.
Voi mi avevate trovato un lavoro.
Ma io non vi salutavo, di fronte alle armi che mi costringevate a costruire.
Voi, allora, mi avete mandato a combattere la vostra guerra.
Mai io ho combattuto la mia, e voi non ci potevate fare nulla, perché avevo un'ottima mira.
Sempre almeno due metri sopra a dove mi dicevate di mirare, sparavo.
Morire così, sapendo che erano quelli come me a restituire grandezza al mio popolo.

Il vostro nome è ricordato con onore?
Il mio, sì.

August

martedì 17 gennaio 2012