martedì 30 settembre 2014

Sessantadue.

La mia boa dei 500 metri si chiama Sessantadue, perchè sopra c'è scritto "62", e abita un po' dopo gli scogli. Tu arrivi alla Sessantadue - magari, saluti - e lei sta zitta. Non è che è scortese: è il suo modo di fare. Se hai piacere, ti ormeggi alla Sessantadue, però circospetto, chè non si potrebbe. Ti guardi intorno per decidere e tutto è a posto, nel tuo regno: lato culo c'è la costa, di fronte si va al largo, a sinistra tutta costa con un grattacielo laggiù laggiù e a destra, lontano, tutta costa e un ruotone panoramico.
Quindi, decidi: si torna indietro, che si sta ingrossando o il vento rinforza troppo, o si parte e si arriva dove le braccia e i coglioni permettono.
Di coglioni, se ne deve usare il giusto: abbastanza da uscire e affrontare una cosa che rispetto a te è enorme, potentissima e immortale ma non troppi coglioni da diventare tutto un enorme coglione e sottovalutare una cosa che rispetto a te è enorme, potentissima e immortale.
Sessantadue ti saluta mentre parti e ti accoglie mentre torni.

Sessantadue va in letargo, in inverno. La tirano su e la mettono a dormire nel campo delle bocce.

Ieri l'ho vista lì ferma, stesa su un fianco.
"Non è la stessa cosa, là fuori, senza di te, sai?", volevo dirle.

Poi - com'è, come non è - son stato zitto, non l'ho svegliata.
Che è tutta l'estate, che balla.