Rimini in inverno è una bagascia in
vestaglia, fuori servizio e col trucco un po' sfatto, ché non è più
e non è ancora ora di dar via il culo ai turisti. E tutti – visto
un raggio di sole – a andare al porto, uscendo in massa come le
lumache dopo la pioggia, a far mucchio, a essere di Rimini. Come la
nonna che perde le doppie, perchè se il nipotino corre rischiando di
cadere nel porto, "Stà 'tènto, Matèo!" ha una velocità
di pronuncia che può essere essenziale per la meccanica del
salvataggio del pargolo. Come la banda che suona robe che ti senti
già in bianco e nero, sulla terrazza del Grand Hotel, negli anni '30
a badare il culo di una finnica. Riminesi come i cinesi che pescano
sugli scogli, le badanti sulle panchine di fronte alla rotonda in cui
in estate allestiscono un pezzo della Festa dei Nickname Quasifamosi
o la postazione di una qualche Radio Soilcazzo, come il mio sangue
mezzo saraceno e quello mezzo bretone, o fiammingo, etrusco o slavo
dei miei amici, tutti quanti rossi – a volerci proprio far
sanguinare – come quello di chiunque, ora o nel corso dei secoli,
abbia deciso o abbia dovuto andare altrove rispetto a dov'era nato, a
cercare di stare meno peggio, se proprio non c'era verso di stare
meglio. Riminesi come la settantenne a braccetto col marito, che lo
strattona se lo sguardo di lui cade un po' troppo casualmente sul
culo della sgallettata che cammina pochi passi davanti a loro. Poi,
non importa, se la sgallettata in questione sta sui cinquanta passati
da un pezzo e il culo incriminato è chiuso in una cipolla di panni
pesanti; è una questione di principio.
Riminesi come quello che
vuole fare un po' il patacca pretenziosetto – probabilmente, fa
pure apposta - e, passando di fianco a uno stand che vende sardoncini
grigliati, dice "Che puzza, vivalamadonna!" e lo sentono in
cinque o sei, per cui s'alza un coro di "Oscìa! Senti che
profumo!". Riminesi che si danno un gran contegno perchè non
vogliono far vedere che sono arrivati giù con la piena del fiume
ieri, di fronte a quelli che son arrivati giù con la piena l'altro
ieri. O il giorno prima ancora, al massimo. Riminesi come il
poliziotto che sente scoppiare un palloncino e vede un bambino che
sta per piangere, allora si porta una mano al petto e s'afferra il
giaccone, mimando platealmente dei battiti cardiaci accelerati e
facendo mezzo salto indietro, con l'espressione spaventata. E il
bambino ride, e il palloncino – a pensarci bene – a 'sto punto ha
fatto anche bene, a scoppiare. Riminesi come quelli che fan la
ragionata e stazionano a piedi su una pista ciclabile troppo civile,
per i nostri parametri. Come quelli che "Diomadonna, ve' che
mare che c'è oggi!" e poi ci mettono mezz'ora – se poi non
glielo devon dire – a accorgersi che non c'è più la ruota
panoramica, che l'han smontata.
Rimini, stesa come sempre su un fianco, sulla battigia - col culo a monte e le tettone verso il largo - che c'è un presepe di sabbia ogni mezzo chilometro, una roba che sembra che noi, qui – la sabbia – la troviamo per terra.
Rimini, stesa come sempre su un fianco, sulla battigia - col culo a monte e le tettone verso il largo - che c'è un presepe di sabbia ogni mezzo chilometro, una roba che sembra che noi, qui – la sabbia – la troviamo per terra.