martedì 8 novembre 2011

Grazie (davvero, grazie mille!)

Mi scuso per aver scritto questa cosa lunga, ma qui si parla dei fondamentali dell'autopercezione del valore di un uomo.

Qui, tutti hanno un cognome dialettale, che definisce qualche caratteristica della gènia.
Di molti, conosco solo il cognome dialettale e non quello vero, per dire.
Il cognome dialettale della mia famiglia è "Faltòt", che vuol dire "quelli che sanno fare un po' di tutto", e si riferisce al fatto che manualmente la mandiamo parecchio.
Almeno, i miei parenti di sicuro la mandano parecchio.
Mio nonno faceva il factotum nella tenuta di dei conti che venivano oltre da non mi ricordo dove nella loro residenza estiva.
Mio padre e mio zio sono in grado di aggiustare un motore, una caldaia, una lavastoviglie, una lavatrice o un qualsivoglia mentre fanno il cemento per coprire le tracce dove hanno messo un nuovo impianto idraulico o elettrico, mettendo in opera un pavimento in piastrelle mentre saldano un pezzo di ferro lavorato a misura e prendendosi una pausa durante la quale installano un citofono o costruiscono un mobiletto per gli attrezzi, piuttosto che buttare su un controsoffito o una parete in cartongesso.
Se hanno le vene occluse, secondo il dottore è colesterolo, ma secondo me è stucco.
Poi, mio zio -ex ferroviere- eccelle nell'elettrotecnica mentre mio padre -ex bancario- nella falegnameria.
Gente che guarda come uno spreco di carta i manuali di istruzioni contenuti in qualsiasi elettrodomestico e kit di montaggio.
Io son sempre stato trattato con un po' di sufficienza come uno con poca manualità, perché son appena in grado di imbiancare e decorare, stendere intonaci, mettere il parquet finto di Ikea a casa mia, smontare e rimontare sanitari, costruire porticati e -al limite- mettere su un paio di mensole o sistemare prese elettriche.
Non ho mai voluto una macchina grossa, ma ho avuto una maestosa erezione nel momento in cui ho realizzato che possedevo contemporaneamte il mio trapano personale, il mio kit di cacciaviti personale e la mia nuova fiammante  e personalissima scala in alluminio.
Ho un avvita-svita che si chiama Berenice cui ho confidato segreti che neanche ai miei migliori amici.
Quando inizi un lavoro, di solito metti in conto che il lavoro triplichi.
Per me la cosa è sempre stata un po' una rottura di maroni, mentre penso che per altri in famiglia sia quasi fonte di piacere sessuale.
Se si spostano due mobili e tre mensole, di solito ci si trova a dover rifare anche un po' l'intonaco e -già che ci sei- dai un'imbiancata e metti a posto un paio di prese elettriche; io lo chiamo il "Principio di Esponenzialità del Lavoretto".
Poi è arrivato Alberto. Alberto abita a 50 metri da casa mia, sopra il mio negozio; gli vedo i terrazzi. Quando lavoravo di edilizia leggera e pesante in negozio mi ronzava sempre attorno e diceva la sua, come facevano altri passanti. Se a questo assommiamo che il mio negozio è di fianco a un barbiere, lavorare lì era il corrispondente in tuta da imbianchino di giocare a tresette al bar, con dietro e di fianco dieci vecchietti che quando tocchi la carta sbagliata sospirano, tirano su col naso o imprecano preventivamente.
(una volta ho toccato una carta della cricca di bastoni mentre dovevo giocare spade e penso di aver fatto ingoiare un paio di dentiere)
Alberto, un mesetto fa, ha smontato le sue finestre di legno per carteggiarle e ridipingerle.
Alberto aveva un piano ferreo e studiato, che recitava "carteggiatura - stesura impregnante e colore - rimontaggio degli infissi".
In culo al "Principio di Esponenzialità del Lavoretto", ho scoperto che Alberto non ne è conscio, ma lavora per principio inversamente proporzionale: tre settimane fa ha detto serenamente "E' fatica davvero" e ha deciso di dare il colore solo sul lato visibile esternamente, due settimane fa ha detto tranquillamente "Carteggiando ho fatto crepare i vetri, però poco." e ha deciso di rivestirli di pellicola trasparente e rimetterli su così come erano, una settimana fa ha detto seraficamente "Non è che ti rimane del silicone?" ma non ha voluto dirmi a cosa gli serviva.
Poi è andato, felice e tranquillo, a fare un giro in autobus.
Lavora utilizzando il "Principio di Riduzione dell'Obiettivo"; ieri guardavo quei cavalletti e quelle finestre smontate, sul suo terrazzo, e mi sa che il piano ora è "sperare che il bel tempo tenga e riportare in casa le finestre rotte prendendo meno botte possibile dalla moglie".

Allora volevo dire "Grazie Alberto (davvero, grazie mille)!"

7 commenti:

  1. Se ci devi fare una statua ad Alberto chiamami che magari in due pure se non abbiamo idea da dove iniziare riusciamo a fare qualcosa che a lui andrebbe bene lo stesso.

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  2. sono

    piegato

    grazie Van (davvero, grazie mille)!

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  3. Comunque, stamattina Alberto ha detto "Tiro tutto dentro. Parto."

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  4. Voglio rimettermi a studiare. Se passo "Principio di Esponenzialità del Lavoretto - 1" provo a dare "Principio di Riduzione dell'Obiettivo - Corso Avanzato". Grazie Van, Grazie.

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  5. Io da sempre imbianco, vernicio, trapano e monto mensole e lampade, ma non sono mai, mai riuscita a superare il Principio di Esponenzialità del Lavoretto. Adesso devo imbiancare il soggiorno, ma so per certo che si concatenerranno cose che mi terranno invischiata fino a Natale. Bravo Alberto. E bravissimo tu. :)

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