“…e poi spero che quel campaccio e quella terra dura sono stati meno così, quest’anno, e che poi magari quel raccolto lo mangiamo assieme anche se non vi ho potuto aiutare, in quei freddi e con quelle zolle di pietra, caro Babbo, e a casa a farsi i calli con Voi son rimasti i piccoli e le donne…”
E Virginia cammina e cammina, e guarda alla fine della strada che ancora non finisce se ci sono i riflessi del sole sul ferro, e è stanca e le batte il cuore e poi accelera e si ricorda i Non correre, mi raccomando non correre. Va più piano, ora, Virgina.
“…ormai, dovrebbe camminare, Filippo. E lo immagino avere i tuoi occhi e, son sicuro, la tua maniera di sorridere. Ma un giorno magari papà torna, e ci conosciamo. Tu diglielo, Rosella, diglielo sempre che sono lontano e nascosto perché devo, ma che vorrei essere lì, vorrei stare con voi…”
E Virginia cammina e cammina e le gambe frullano, non fan male le gambe a sedici anni, solo il cuore vuole uscire, che è un gran caldo. E ha paura, Virginia, e ora alla fine della discesa c’è polvere che si alza e lei vuole arrivare presto e accelera ma Non correre, mi raccomando non correre.
“…in sette, eravamo, quando abbiamo sentito i cani e le voci che li guidavano. Ci son stati addosso in un lampo e cercavamo di sparare anche noi mentre i proiettili fischiavano e correvamo verso l’alto, lontano dal sentiero. Alla fine al ritrovo eravamo in due, la notte, e mi son sentito di aver perso fratelli. Così, come foste un padre a cui lo devo dire, mi rivolgo a Voi per dire che vostro figlio Fausto, mio fratello in montagna, non è tornato…”
E Virginia cammina e cammina e la polvere che si alza sono divise che camminano su righe immaginate per terra, che stanno a vedere chi passa, e lei le raggiunge e la guardano.
Virginia vorrebbe scappare e stringe lo spago della fascina che quasi le mani le sanguinano, poi Non correre, mi raccomando non correre.
“…ma qui non è molto freddo, e stiamo bene. Aspettiamo, e non spariamo quasi mai. Io poi, madre mia, son convinto che non ho mai preso nessuno, che i miei colpi mica ne han mai preso bene uno. Prima o poi finirà e tornerò a casa, e sarò salvo nel corpo e nell’anima, madre, non preoccupatevi per me…”
Non correre, mi raccomando non correre.
Così passa, ha la schiena dritta, Virginia, e non si cura dei fischi dei soldati e della paura che urla e nessuno le chiede di fermarsi per mostrare i documenti o chiedere dove va.
Perché non corre, perché non va bene correre, si dimostra troppa paura e tutto va male, e non si riescono a portare le lettere che ha sul seno e che non sa leggere.
E Virginia cammina e cammina, e guarda alla fine della strada che ancora non finisce se ci sono i riflessi del sole sul ferro, e è stanca e le batte il cuore e poi accelera e si ricorda i Non correre, mi raccomando non correre. Va più piano, ora, Virgina.
“…ormai, dovrebbe camminare, Filippo. E lo immagino avere i tuoi occhi e, son sicuro, la tua maniera di sorridere. Ma un giorno magari papà torna, e ci conosciamo. Tu diglielo, Rosella, diglielo sempre che sono lontano e nascosto perché devo, ma che vorrei essere lì, vorrei stare con voi…”
E Virginia cammina e cammina e le gambe frullano, non fan male le gambe a sedici anni, solo il cuore vuole uscire, che è un gran caldo. E ha paura, Virginia, e ora alla fine della discesa c’è polvere che si alza e lei vuole arrivare presto e accelera ma Non correre, mi raccomando non correre.
“…in sette, eravamo, quando abbiamo sentito i cani e le voci che li guidavano. Ci son stati addosso in un lampo e cercavamo di sparare anche noi mentre i proiettili fischiavano e correvamo verso l’alto, lontano dal sentiero. Alla fine al ritrovo eravamo in due, la notte, e mi son sentito di aver perso fratelli. Così, come foste un padre a cui lo devo dire, mi rivolgo a Voi per dire che vostro figlio Fausto, mio fratello in montagna, non è tornato…”
E Virginia cammina e cammina e la polvere che si alza sono divise che camminano su righe immaginate per terra, che stanno a vedere chi passa, e lei le raggiunge e la guardano.
Virginia vorrebbe scappare e stringe lo spago della fascina che quasi le mani le sanguinano, poi Non correre, mi raccomando non correre.
“…ma qui non è molto freddo, e stiamo bene. Aspettiamo, e non spariamo quasi mai. Io poi, madre mia, son convinto che non ho mai preso nessuno, che i miei colpi mica ne han mai preso bene uno. Prima o poi finirà e tornerò a casa, e sarò salvo nel corpo e nell’anima, madre, non preoccupatevi per me…”
Non correre, mi raccomando non correre.
Così passa, ha la schiena dritta, Virginia, e non si cura dei fischi dei soldati e della paura che urla e nessuno le chiede di fermarsi per mostrare i documenti o chiedere dove va.
Perché non corre, perché non va bene correre, si dimostra troppa paura e tutto va male, e non si riescono a portare le lettere che ha sul seno e che non sa leggere.
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Ho scritto questa cosa, immaginando della Resistenza. Ho la fortuna che è uscita su un e-book, assieme a molti begli scritti di altri, e che ne hanno stampato dei libri. L'e-book si chiama "Schegge di Liberazione".
Ne trovate notiza anche qui.
L'ho detto già altre volte, tu e la Lia siete 'no spettacolo (prima o poi dovrò pagare il biglietto...)!
RispondiEliminaBoiate a parte, avete scritto due racconti commoventi, veramente belli! *-*
Buon 25 Aprile! :D
Sì, del treno, per venire qui a mettere i piedi nella sabbia.
RispondiEliminaGrazie dell'apprezzamento e Buon 25 Aprile anche a te.
Verrò! I piedi nella sabbia li metto sempre volentieri. :)
RispondiEliminamolto bello :-)
RispondiEliminagrazie per aver contribuito a togliere un po' di polvere dalla memoria Van
RispondiEliminaEccolo, un Van serissimo.
RispondiEliminaVirili abbracci.
o
@ chiaratiz: detto da te, è una soddisfazione grossa.
RispondiElimina@ ghiaccio-nove: è stato un onore.
@ Orio: ho messo anche il testo giustificato, ho messo! A parte gli scherzi, apprezzo l'attributo e ricambio l'abbraccio.